C’è un punto, al confine del mondo antico, in cui la terra finisce e tutto si dissolve nell’infinito. Gli antichi lo chiamavano “Finis Terrae”: un approdo e insieme un trampolino verso l’ignoto, dove cielo e oceano si sfiorano lungo una linea sottile.
È da lì che prende slancio BLUE, il nuovo album di Fabio Capanni in uscita per l’etichetta Curious Music, terzo e ultimo capitolo di un viaggio iniziato nel 2021 con HOME e proseguito nel 2023 con OUTSIDE: un cammino che dall’introspezione è passato all’apertura verso il mondo, fino a sollevare lo sguardo verso l’alto, fino a dissolversi in un’unica, immensa tonalità di blu.
In queste nuove composizioni, Capanni compie un volo solitario e consapevole: un’ascesa rarefatta, tra paesaggi sospesi e cieli insondabili, che distilla e completa le atmosfere dei suoi precedenti lavori.
Da pioniere della musica sperimentale e collaboratore di figure del calibro di Peter Principle, Luc van Lieshout dei Tuxedomoon, Harold Budd, David Torn, Steve Jansen, Richard Barbieri, Tim Story e il padre della musica ambient Hans-Joachim Roedelius, Capanni torna oggi con un album che è insieme approdo e ripartenza, la conclusione di una trilogia e l’inizio di un nuovo, possibile viaggio da intraprendere.
È un disco che va ascoltato con gli occhi chiusi, per godere pienamente di tutte le sfumature del viaggio (fuori e dentro di noi) che la musica di Capanni ci consente di fare, immaginando quello che ognuno preferisce.
Ecco la nostra intervista a Fabio Capanni
Ciao Fabio! Oltre che musicista sei anche un architetto, io vedo un collegamento tra le opere che hai realizzato e la tua musica. In questo tuo ultimo disco sono molto importanti le pause, i momenti di vuoto
Bravissima, l’architettura è il centro della mia vita, è vero che ci sono collegamenti. Nel mio lavoro mi occupo molto del rapporto tra spazio e luce. Le mie opere sono monomateriche, molto semplici. Proprio la ricerca dell’essenzialità è quello che lega le mie opere alla mia musica, cercare di fare molto facendo il meno possibile. Ai miei studenti, sono anche docente universitario, dico sempre che un architetto bravo è quello che arriva alla soluzione con un gesto semplice, chiaro, essenziale. Questa per me è la chiave della poesia nell’architettura come nella musica.
Per me la musica è la ricerca della bellezza. Nell’arte ognuno di noi porta qualcosa di bello e di luminoso che deve essere messo a disposizione di tutti perché è qualcosa che ti lega a tutti gli altri anche se è solo tuo
È una semplicità paradossalmente difficilissima da raggiungere sia in musica che in architettura
Esatto, sono cose dietro alle quali sta tantissima fatica. Per arrivare alla semplicità estrema c’è tutto un lavoro per togliere, per levare.
BLUE è la conclusione di un trittico, mi ha fatto pensare ai film di fantascienza, ai viaggi nello spazio, hai creato un paesaggio sonoro molto accogliente, ma anche a tratti pericoloso, questo è quello che ho percepito. Ti sei staccato dalla terra con questo disco
È proprio così, la trilogia attraversa la mia interiorità. Dopo essere stato per molto tempo in silenzio HOME è nato per guardarmi dentro e ritrovare un mio modo per esprimermi attraverso la musica. OUTSIDE rispecchia la mia interiorità che si rivolge all’esterno, per confrontarmi con il reale. BLUE è la sublimazione della condizione terrena, cercare di staccarsi da tutti i condizionamenti e lasciare l’espressività nella sua libertà più assoluta. Per me è un volo che parte dal primo brano “Finis Terrae”, il luogo dove finiva la terra e iniziava l’incognito. Quel pezzo è un decollo, staccarsi da terra e iniziare un viaggio che incontra paesaggi sempre più rarefatti, immaginari, per alleggerirsi e poi dissolversi nel blu dell’ultimo brano.
Hai deciso di realizzare questo disco da solo, senza l’aiuto di nessuno, è un tuo viaggio solitario
È stata una mia scelta, ci ho pensato molto. Nei primi due dischi mi sono fatto accompagnare per ritrovarmi nel mondo musicale da carissimi amici del passato che mi hanno aiutato. Sicuramente interventi esterni avrebbero arricchito BLUE, ma ho scelto di dire no, questa volta sono solo, libero, senza rete e senza salvagente.

L’idea di staccarsi dal suolo e affrontare una nuova dimensione è un tema affrontato da tanti artisti, da Dante nella Divina Commedia che parla della musica delle alte sfere, ma anche da Lucio Fontana che con i suoi tagli andò oltre la tela, superando l’orizzonte per lanciarsi nell’ignoto
Con Fontana hai centrato il punto, l’astrazione nell’arte è proprio il tentativo di lasciare la figurazione per poter fare in modo che il pensiero si possa esprimere senza un medium, trasmettendo in maniera più pura possibile quella che è una sensazione interiore, un’idea. In BLUE ci sono molti brani in cui la struttura è più labile, più libera, volevo staccarmi dalle strutture più convenzionali. Il paragone con l’astrazione di Fontana è assolutamente giusto.
Nel mio piccolo cerco la luce, BLUE è proprio questo, la ricerca di una frequenza che ci tenga tutti uniti. Il mondo che ci circonda oggi è piuttosto terribile, la musica è qualcosa in cui trovare quello che ancora ci può salvare
BLUE mi ha fatto pensare anche alla dissoluzione dell’ego che è l’obiettivo di tante religioni e filosofie orientali. Nel momento in cui lasci l’individualità puoi raggiungere l’illuminazione
Credo che la musica possa essere affrontata in moltissimi modi, per qualcuno è una critica della realtà, c’è chi vede le parti più buie, chi quelle più luminose. Per me la musica è la ricerca della bellezza, nell’arte ognuno di noi porta qualcosa di bello e di luminoso che deve essere messo a disposizione di tutti perché è qualcosa che ti lega a tutti gli altri anche se è solo tuo. Nel mio piccolo cerco la luce, un qualcosa che sta sopra di noi, BLUE è proprio questo. Vado verso la spersonalizzazione, la ricerca di una frequenza che ci tenga tutti uniti. Il mondo che ci circonda oggi è piuttosto terribile, la musica è qualcosa in cui trovare la parte più bella dell’essere umano, per trovare quello che ancora ci può salvare.
BLUE mi ha ricordato anche la colonna sonora di Hans Zimmer per “Dune”, paesaggi sonori alieni. Il cinema è un qualcosa a cui hai mai pensato o aspirato?
Sarebbe una mia ambizione, mi sono sempre alimentato di colonne sonore, Ennio Morricone è per me un riferimento assoluto. In passato ho eseguito le sue musiche con un quartetto. L’ho conosciuto, era una persona straordinaria.
Dopo un viaggio così… cosa ci può essere dopo?
Ci sono cose a cui sto pensando, ma sono ancora più destrutturate, libere e spersonalizzate. Qualcosa di ancora più distante dalla condizione terrena. Voglio allontanarmi da un modo convenzionale di fare musica. BLUE è la chiusura di una trilogia abbastanza omogenea, che rappresenta lo sviluppo di un percorso chiaro. Si chiude una parte importante della mia vita, poi ci sarà una ricerca diversa sui suoni e sugli strumenti.
Sarebbe bellissimo ascoltare un tuo concerto dentro una delle tue architetture
È una cosa alla quale penso da tanto tempo, fare concerti in un luogo dove lo spazio e la luce sono importanti. Ultimamente ho fatto una sonorizzazione per una mostra in un luogo magnifico a Piacenza che si chiama Volumnia, una basilica del ‘600 grandissima, sconsacrata, ora diventata una galleria d’arte contemporanea. Confrontarmi con l’architettura e la scultura abbandonandomi a un flusso continuo di suoni è un’esperienza che mi è piaciuta tantissimo, forse un giorno vedrà la luce.
