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© Nanni Angeli

Musica /

Popoli, culture e suoni di un mare che unisce: a Firenze le “Rotte mediterranee” di Paolo Angeli e Redi Hasa

I canti antichi che echeggiavano nei porti e le tradizioni orali tramandate sulle coste si mescolano con l’elettronica e l’improvvisazione nel progetto di Redi Hasa e Paolo Angeli che sarà presentato venerdì 19 al Museo Marino Marini all’interno del festival Fabbrica Europa

Il Mediterraneo è da sempre crocevia di popoli, lingue, culture e suoni. Le sue rotte, percorse per secoli da viaggiatori, mercanti e pellegrini, hanno generato un intreccio di memorie che ancora oggi risuona nelle musiche che lo attraversano.

Dall’incontro tra il violoncellista albanese Redi Hasa e il musicista e sperimentatore sardo Paolo Angeli nasce “Rotte mediterranee” un progetto musicale che sarà ospitato venerdì 19 settembre al Museo Marino Marini di Firenze all’interno di Fabbrica Europa.

Questa produzione originale nasce dall’idea di seguire le vie d’acqua come mappe sonore, per mettere in dialogo il passato e il presente: i canti antichi che echeggiavano nei porti, le tradizioni orali tramandate sulle coste, le influenze che si sono mescolate con l’arrivo di strumenti, melodie e ritmi da terre lontane.

Attraverso un viaggio musicale che unisce repertori storici e creazioni contemporanee, i due artisti vogliono restituire al pubblico l’immagine di un Mediterraneo vivo, mutevole e fertile: un mare che non divide, ma che unisce.

Un mare che ci invita a riscoprire la sua pluralità e a riconoscere, nella diversità delle voci che lo abitano, la radice comune di un’identità sempre in movimento.

“Conosco Redi Hasa da tantissimo tempo, più di 15 anni – ci ha raccontato Paolo Angelil’ho sempre stimato tantissimo per la sua capacità di portare la musica tradizionale albanese in connessione con la musica contemporanea e l’improvvisazione con un linguaggio unico e personale, fino ad arrivare alla musica elettronica. Entrambi ci seguivamo a distanza, poi un anno fa ci siamo incontrati per suonare insieme in Puglia a Lecce ed è stato qualcosa quasi di “telepatico”.

ho lasciato la mia terra che avevo 18 anni, sono un migrante per scelta, l’ho fatto per abbracciare la diversità e accogliere la bellezza del mondo

Il vostro progetto musicale si ispira ai popoli e le musiche del Mediterraneo che purtroppo negli ultimi anni è diventato un cimitero

Io sono sardo e ho lasciato la mia terra che avevo 18 anni, sono un migrante per scelta, l’ho fatto per abbracciare la diversità e accogliere la bellezza del mondo. Redi ha lasciato la sua terra perché è scappato, nel suo disco “The Stolen Cello” racconta che è partito rubando il violoncello dal Conservatorio di Tirana e ha portato con se un pezzo della sua terra. Il Mediterraneo è il cimitero della coscienza del mondo occidentale, da un lato è diventato un muro nei confronti delle rotte dei migranti che cercano un futuro migliore in un’Europa che loro idealizzano. Dall’altro c’è il momento storico che stiamo vivendo che è lacerante: quest’assenza di umanità che sta accadendo in Palestina e noi che ci giriamo dall’altra parte. Non vogliamo cogliere l’opportunità di far rinascere un’idea di Europa che guardi al mare non alla terra, che ci riscopra umani, popoli diversi come elemento di ricchezza.

Quest’idea voi l’avete trasformata in canzoni…

Nel nostro piccolo con la nostra musica cerchiamo di lavorare sull’intersezione fra i linguaggi, io parto dalla cultura tradizionale sarda, Redi parte da quella albanese, facciamo incontrare le nostre storie. Per un attimo possiamo dimostrare senza retorica che questo linguaggio amico permette l’incontro creativo e costruttivo di condivisione di patrimoni culturali. 

Paolo Angeli, LEMA

L’incontro tra popoli e culture diverse credo sia proprio alla base della creazione artistica, come accade anche nel tuo ultimo album “Lema”

Concordo perché il discorso che sto portando avanti da circa 15 anni, da quando mi sono trasferito a vivere in Spagna è proprio questo: ripensare a un concetto di avanguardia mediterranea che guardi alle specificità del nostro bacino culturale, che è molto diverso da quello alimentato dalle avanguardie nord europee o nord americane. Noi abbiamo bevuto dalle meraviglie dei grandi compositori del Novecento, che fanno riferimento a un dominio delle culture afro-americane, parlo del jazz ovviamente. Ma nel Mediterraneo abbiamo una ricchezza musicale che è qualcosa di spaventoso. In Sardegna essendo un’isola, crocevia di rotte, siamo stati sempre colonizzati e l’espetto positivo è che siamo diventati meticci. Io rivendico la meraviglia di essere bastardo, per me è un privilegio cercare questa sintesi. In Lema quello che ho cercato di fare è stato far riaffiorare tutti i linguaggi che ho praticato in trent’anni di musica e cerare di coniugarli in una dimensione legata al presente, verso un futuro di rinascita.

Pensi che la musica possa cambiare il mondo?

Credo che nella musica, più che in altre forme d’arte, davvero è possibile che avvenga l’incontro, perché quando si crea un momento in cui il musicista suona, si mette a nudo porta i suoi drammi, le sue cicatrici oppure il suo privilegio di essere nato nella parte fortunata del mondo. Noi non siamo rock star, siamo realtà piccole ma molto sincere che cercano con la musica di comunicare ogni sera a un pubblico diverso e questo è un potenziale enorme, ma è come l’intarsio di uno scalpellino su un pezzo di legno, rispetto all’industria.

Ti faccio una domanda un po’ provocatoria, non hai l’impressione che chi viene ad ascoltare i tuoi concerti abbia le tue stesse idee, faccia parte della tua “bolla”. Il problema da porsi è come arrivare a chi la pensa in modo diverso da te

Hai ragione spesso siamo come in un “salotto” della sinistra, però dipende perché nel mio caso io ho suonato in luoghi profondamente diversi, dove tutto è più complesso. Ti faccio un esempio, a maggio sono stato in concerto in Egitto al Cairo. Nella mia testa mi aspettavo di trovare una grande sensibilità su quello che sta accadendo in Palestina, quando ho suonato “Nakba” la reazione è stata estremamente tiepida, quasi infastidita, di fronte al fatto che io stessi toccando quel tema in quel contesto. Stessa cosa mi è successa negli Stati Uniti dove ho fatto 16 concerti. Certi discorsi non trovavano assolutamente un allineamento. Se parliamo dell’Italia sono d’accordo, chi viene a sentire la mia musica è una persona che ha già scelto quella nicchia.

Da anni mi batto personalmente perché le musiche che vivono ai margini emergano. Sono una persona ottimista, è un ottimismo molto naïf, ma penso che se insisti nel cercare una comunicazione di valori differenti, prima o poi riesci ad arrivare alla gente. Io credo che l’arte anche nel dolore porta speranza, in questo senso sono ottimista. Anche nei momenti bui che stiamo attraversando operazioni come quelle che fa Fabbrica Europa restituiscono contenuti che sono delle piccole gocce d’acqua, se ognuno ci mette qualcosa non riempiremo certo il mare, ma potremo innaffiare una pianta e tenerla viva. 

Paolo Angeli – © Jack London

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