Un’esposizione universale è sempre un viaggio nello spazio e nel tempo. L’Expo di Osaka 2025 – che al 13 settembre (un mese dalla chiusura) aveva già accolto oltre 18,5 milioni di visitatori, per la maggior parte giapponesi – si presenta come una vetrina di architetture spettacolari, innovazioni sorprendenti e visioni di futuro che oscillano tra il concreto e l’immaginifico.

Camminando tra i padiglioni, lo sguardo si perde nella monumentalità del Grand Ring, progettato dallo studio Sou Fujimoto, la più grande struttura architettonica in legno (tutta ad incastro) al mondo. Un simbolo che da solo racconta l’ambizione di un’Expo che vuole coniugare tradizione e avanguardia. Accanto a lui, il gigantesco Gundam alto 17 metri richiama invece un immaginario popolare che dal Giappone ha conquistato il pianeta.

Ma non sono solo le architetture a sorprendere. C’è il padiglione null² di Yoichi Ochiai, dove il concetto informatico di “null” – il vuoto, l’assenza – viene reinterpretato come spazio generativo. Qui il visitatore incontra il proprio “corpo specchiato”, digitalizzato e rielaborato in un’esperienza immersiva che mette in discussione i confini tra reale e virtuale, materia e informazione. È una riflessione profonda: cosa resta della nostra identità quando diventa dato, quando la vita stessa si traduce in codice?

Il futuro, a Osaka, non è solo un’ipotesi. Nei padiglioni dedicati alla medicina e alla ricerca, come quello di Pasona, lo si tocca quasi con mano: un cuore creato da cellule iPS che pulsa in un fluido di coltura; sale operatorie volanti e telecomandate che potrebbero raggiungere isole e montagne; micro-robot capaci di muoversi nel sistema vascolare. Tecnologie che spostano continuamente in avanti il limite del possibile, che sembrano fantascienza ma già affondano radici nel presente.

Accanto alla medicina, c’è la sostenibilità. Il padiglione del Giappone mostra la forza discreta delle alghe come motore di un futuro industriale meno impattante: alimento, carburante, materia prima. Un “padiglione che mangia rifiuti”, trasformandoli in biogas grazie al lavoro invisibile dei microrganismi, diventa allegoria di una società che deve imparare a rigenerarsi. Una varietà di alghe (rappresentate con Hello Kitty, siamo pur sempre in Giappone!) che possono nel breve tempo trasformarsi in validi alleati.

E poi c’è il Padiglione Italia, con l’architettura di Mario Cucinella che richiama la Città Ideale rinascimentale. Tra Caravaggio e Tintoretto, Da Vinci e Jago, brevetti e innovazioni, la nostra presenza racconta un Paese che prova a tenere insieme memoria e futuro, tradizione e tecnologia. “L’Arte rigenera la vita”: un messaggio che risuona forte, perché nel tempo delle macchine intelligenti e delle bioingegnerie avanzate, l’umanità deve ricordare che la bellezza, la cultura e il “saper fare” restano parte insostituibile del nostro orizzonte.
Ma è nel Future of Life Pavilion che l’Expo si fa più intimo, quasi disturbante. Qui, guidati da androidi, i visitatori si trovano di fronte a una storia semplice e struggente: una nonna e una nipote, unite dall’affetto e dal tempo che passa. La nonna, davanti all’inevitabile, è chiamata a scegliere se accettare la fine o trasferire la propria coscienza in un androide per continuare a camminare accanto alla nipote. Una narrazione che strappa emozione e inquietudine insieme: è questo il futuro che vogliamo? La vita senza fine, o la vita che sa finire?

Uscendo dall’Expo, la domanda resta sospesa. Ciò che stupisce non è tanto la tecnologia, ma il modo in cui essa ci costringe a guardare dentro noi stessi. L’Expo non è solo un catalogo di innovazioni, ma uno specchio del nostro tempo: ci mostra quanto siamo vicini a scenari che fino a ieri sembravano impossibili, e ci invita a decidere quali sogni trasformare in realtà e quali invece lasciare nel regno della fantasia.
Forse la vera eredità di Osaka 2025 è questa: non offrirci risposte, ma moltiplicare le domande. Sul rapporto tra uomo e macchina, tra natura e artificio, tra finitezza e eternità.