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Ultimato il restauro della Sagrestia Nuova: torna a splendere grazie ai “batteri affamati”

Sperimentata per la prima volta sui capolavori scultorei di Michelangelo una tecnica di biopulitura che usa dei batteri per rimuovere in sicurezza le macchie dal marmo

Dopo otto anni di lavoro si è conclusa la lunga campagna di restauri nella Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee. I lavori hanno interessato sia le tombe con le celebri statue di Michelangelo, i monumenti funebri di Giuliano duca di Nemours e di Lorenzo duca d’Urbino, sia il parato della Sagrestia Nuova.

Un team tutto al femminile composto dalle restauratrici Daniela Manna e Marina Vincenti, con le quali hanno collaborato Donata Magrini, Barbara Salvadori e Silvia Vettori, ricercatrici dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPC-CNR) e Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha condotto un’impresa lunga e complessa, riuscita anche grazie ad una campagna di indagini puntuali e all’utilizzo di un’innovativa tecnica di biopulitura messa a punto dall’ENEA che utilizza delle colonie di batteri per ripulire i marmi dai segni del tempo.

La Sagrestia Nuova necessitava di un’accurata manutenzione, l’ultimo intervento risaliva infatti al 1988. Il restauro ha avuto una prima breve fase di intervento sui paramenti marmorei nel 2013, ma è stato tra il 2016 e il 2020 che si sono svolti i lavori più cospicui, possibili grazie ai fondi derivati dall’autonomia dei Musei a seguito della Riforma del Ministero del 2014 che ha istituito i primi venti musei dotati di autonomia speciale, tra cui i Musei del Bargello.

Il restauro

La fase di progettazione del restauro è stata preceduta e guidata dalla campagna fotografica a luce visibile di Antonio Quattrone e, tra il 2019 e il 2020, da indagini fotografiche a fluorescenza indotta da luce ultravioletta e con luci infrarosse (IR) eseguite da Andrea Rossi, operazioni che hanno accertato lo stato conservativo delle sculture e hanno permesso di selezionare le metodologie più adatte all’intervento di pulitura.

Il lungo e complesso lavoro è stato condotto partendo dai parati marmorei e dalle paraste in pietra serena che segnano lo spazio architettonico delle pareti, per concludersi con l’intervento sulle sculture, nella seconda metà del 2020. Sia i parati marmorei che le sculture erano coperte da depositi ed erano in più punti macchiate da residui di sostanze utilizzate in passato per proteggere le sculture durante l’esecuzione dei calchi, eseguiti dal Cinquecento a tutto l’Ottocento.

Nella fattispecie, il sarcofago di Lorenzo duca di Urbino era alterato da macchie di colore scuro estese lungo tutto il basamento, identificate dalle analisi eseguite dal CNR come ossalati e materiali organici e ricondotte a liquidi organici filtrati fino all’esterno del sarcofago in corrispondenza di queste macchie, da ricondursi alla sepoltura di Alessandro de’ Medici (figlio di Lorenzo duca d’Urbino), che – assassinato – fu sepolto senza essere eviscerato, come invece si usava all’epoca per la dinastia medicea.

La biopulitura del sarcofago con i batteri

Per l’eliminazione delle macchie organiche e di altre di varia origine, come fosfati, gesso, tracce di silicati, tracce di ossalato di calcio, sono stati individuati alcuni ceppi batterici in grado di rimuovere selettivamente questi depositi, senza influenzare con la loro azione il marmo.

Dopo aver testato undici diversi ceppi batterici su piccoli tasselli di prova, sono stati scelti i tre “migliori” per procedere alla biopulitura del sarcofago. Impacchi di cellule dei ceppi Serratia ficaria SH7, Pseudomonas stutzeri CONC11 e Rhodococcus sp Z-CONT sono stati applicati nei diversi punti del sarcofago, immobilizzati in uno speciale gel che mantiene la giusta umidità per i batteri e conferisce una giusta consistenza all’impacco, permettondo di applicarlo e di rimuoverlo facilmente, senza lasciare residui.

Sacrestia Nuova, Michelangelo, Tomba di Giuliano duca di Nemours, dopo il restauro, photo Antonio Quattrone 2020

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