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Kety Fusco e l’arpa ribelle: con “Bohème” il suono corre verso un futuro senza confini

L’arpista pisana Kety Fusco è considerata una delle voci più originali e visionarie della nuova scena musicale europea, ha scelto di liberare lo strumento dagli stereotipi che lo vogliono etereo e angelico, trasformandolo in una macchina sonora capace di viaggiare tra elettronica, ambient e sperimentazione

La parola “Bohème” è sinonimo di una vita anticonvenzionale, libera, senza regole. Ed è proprio così che si sente Kety Fusco quando suona uno degli strumenti più classici e tradizionali: l’arpa.

Con lei l’arpa non ha confini, non ha regole e può essere suonata in ogni modo e in ogni situazione possibile e immaginabile, anche sott’acqua.

Nata a Pisa, Kety Fusco è considerata una delle voci più originali e visionarie della nuova scena musicale europea.

Diplomata in arpa classica, ha scelto di liberare lo strumento dagli stereotipi che lo vogliono etereo e angelico, trasformandolo in una macchina sonora capace di viaggiare tra elettronica, ambient e sperimentazione.

Nei suoi lavori utilizza arpe classiche ed elettriche, effetti, campionamenti e persino oggetti quotidiani – dalle catene ai plettri da chitarra – per generare timbri inediti e atmosfere immersive.

Kety Fusco ha calcato i palchi di festival internazionali, collaborato con artisti di mondi diversi e pubblicato album che hanno attirato l’attenzione di pubblico e critica per l’originalità del suo linguaggio.

La sua musica, al confine tra tradizione e innovazione, fonde rigore tecnico e libertà creativa, invitando chi ascolta a riscoprire l’arpa come strumento contemporaneo e senza confini.

Kety Fusco – © Sebastiano Piattini

Ecco la nostra intervista all’arpista Kety Fusco

Ciao Kety raccontaci come hai iniziato a suonare l’arpa, cosa ti ha affascinato quando hai incontrato per la prima volta questo strumento

La primissima volta che l’ho vista avevo 6 anni ed è stato un colpo di fulmine, per me l’arpa era totalmente sconosciuta. Ero in vacanza con i miei genitori in montagna e mi ricordo benissimo che sentivo un suono particolare, mi sono avvicinata a una piazza dove si teneva un concerto, l’arpa mi sembrava enorme. Mi ha impressionato la sua grandezza e il suono che per me era come una calamita.

Nel tuo percorso artistico ti sei presa un compito, portare l’arpa nel futuro, vuoi cioè cambiare il modo sia di suonare che di ascoltare l’arpa. Quanto è difficile far capire a chi ti ascolta questo tuo progetto

È un percorso che ha bisogno del suo tempo, non è una cosa immediata, un progetto che si conclude con un album. È una ricerca anche per me, e anch’io ogni volta che pubblico musica o che sono pronta a far sentire qualcosa è perché mi sono interrogata sull’evoluzione di questo strumento. Il pubblico e le persone che mi seguono stanno camminando insieme a me. Insieme stiamo cercando di portare l’arpa in una dimensione attuale. Più vado avanti più mi rendo conto che riesco a raggiungere sempre più persone e il mio modo di approcciarmi all’arpa si evolve. Come tutti i percorsi sperimentali ha bisogno del suo tempo, ma è grazie a questo tempo che riesco ad ottenere più fiducia.

Le persone che mi seguono stanno camminando insieme a me. Insieme stiamo cercando di portare l’arpa in una dimensione attuale

Ultimamente ho visto un video in cui entravi con l’arpa in una piscina, ma non si rovina lo strumento?

Assolutamente sì! Infatti ho preso delle “arpacce” più economiche perché poi le ho dovute buttare via, il legno non era più buono. Era una ricerca necessaria, avevo bisogno di prendere dei suoni con l’arpa immersa a metà, praticamente solo la cassa era in acqua altrimenti non avrebbe suonato. La cassa in acqua ha dato questo chorus, questo vibrato che ho inserito nel primo brano dell’album. Mi sono ispirata all’inventore della “Gravity Harp” che ha lavorato anche con Bjork Andy Cavatorta che ha fatto strumenti subacquei. Devo dire che è una figata pazzesca! In questo momento sto registrando una libreria di suoni subacquei.

Mi sembra che nella tua musica ci sia una parte importante di improvvisazione, ma anche dal punto di vista compositivo tu cerchi nuove strade

Esatto, per me l’obiettivo è sempre stato quello di dare all’arpa una voce. Io non canto e mi piace che l’arpa possa cantare, quindi avere una melodia sempre riconoscibile che puoi canticchiare, come se parlasse da sola. A livello compositivo in questo secondo album ho collaborato con un produttore che è specializzato in musica per film. Mi piaceva fondere la sua esperienza con il mio approccio un po’ più punk con l’arpa per creare brani più complessi a livello compositivo, ma che al pubblico arrivano comunque immediati.

Parliamo del tuo ultimo disco, si intitola “Bohème” una parola che non hai scelto a caso

Esatto esprime il significato di questo disco che non ha regole prestabilite, è un album che cerca la libertà e l’anticonformismo per esprimermi senza leggi musicali.

In questo disco c’è una canzone “SHE” che hai realizzato niente meno che con Iggy Pop, ti sei scelta proprio uno degli artisti più liberi

Iggy Pop ha parlato nel 2023 del mio primo album che ho poi presentato alla Royal Albert Hall di Londra. Lui ha questo programma alla BBC Radio che si chiama “Iggy Confidencial” e aveva scelto il mio album “The Harp – Chapter 1” come album preferito del mese. Io non ho realizzato subito la cosa, poi quando ho iniziato a comporre il mio nuovo disco, avevo questa canzone che sentivo tantissimo che aveva bisogno di una voce maschile, soprattutto mi piaceva quello che Iggy aveva detto cioè “The harp is not heard, as much”. Così il mio manager gli ha scritto e gli ha chiesto se fosse possibile registrare la sua voce. Iggy è stato subito entusiasta del pezzo e ha deciso di partecipare, è accaduto tutto in modo molto naturale.

Mi piacerebbe che chi ascolta Bohème non mi dicesse è bello o è brutto, ma si facesse delle domande. Magari grazie alle domande del pubblico io potrò trovare altri approcci per esplorare il mio strumento

C’è un artista, un musicista che per te è stato fondamentale?

Da brava musicista che ha studiato al conservatorio parto sempre da ascolti molto classici, quindi i miei mostri sacri restano sempre: Bach, Mozart e Debussy. Oggi i miei ascolti preferiti sono: Terry Riley, Jeff Mills, lo so che non sono tanto attuali, ma per me Terry Riley resta sempre una fonte di ispirazione. Ho ascoltato tanto anche Nils Frahm ultimamente. Sto esplorando.

Una delle caratteristiche della “Strega” o “Maga” è quella di viaggiare tra mondi diversi, mi sembra che tu incarni questa figura. L’anno scorso per esempio ti abbiamo vista sul palco del Festival di Sanremo in accompagnamento a Joan Thiele. Immagino che per te sia stata un’esperienza abbastanza surreale

Sì assolutamente, la cosa che mi è piaciuta è che volevano me con l’arpa elettroacustica e Carmelo Patti mi ha chiesto di editare il brano di Gino Paoli. Ero felice di poter mettere qualcosa del mio mondo in un contesto come Sanremo che è il tempio della musica italiana. È stata un’esperienza folle, non è il mio mondo e non lo sarà mai anche perché io faccio musica strumentale. Però se sono riuscita a stare a Sanremo con la mia arpa e la mia identità per me è stato comunque importante.

Qual è l’emozione che speri di trasmettere con la tua musica e in particolare con questo nuovo disco Bohème

Mi piacerebbe che chi ascolta Bohème non mi dicesse è bello o è brutto, ma si facesse delle domande. Si chiedesse perché. Se uno si pone domande o ha curiosità di sapere ha senso per me continuare a fare quello che sto facendo con la mia ricerca. Non mi basta che uno possa accettare o non accettare la mia musica. Magari proprio grazie alle domande del pubblico io potrò trovare altri approcci per esplorare il mio strumento.

Quando ti potremo ascoltare live?

A novembre / dicembre annuncerò un po’ di concerti, poi dal 2026 inizierà il tour vero e proprio di Bohème. Quindi sì ci vedremo presto!

Kety Fusco, Bohème
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