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La musica etrusca perduta e ritrovata: un mistero svelato dopo 2600 anni

Il musicista Stefano Cantini e l’archeologa Simona Rafanelli hanno scoperto il vero suono degli strumenti a fiato dell’antico popolo

Stefano Cocco Cantini - © Raffaella Galamini

Un suono antico che riemerge dal passato. Quel suono da sempre immaginato e quasi sognato ammirando le tombe dipinte della necropoli etrusca di Tarquinia. Oggi, per la caparbietà di un musicista e di un’etruscologa, i caratteristici flauti in bosso ci restituiscono una scala di sette note (una in più di Guido Monaco), per accordate con il la di Mozart a 432 hertz. La scoperta è stata presentata a Palazzo Sacrati Strozzi in occasione della conferenza di TourismA, salone dell’archeologia e del turismo culturale in programma da venerdì 17 dicembre al Palazzo dei Congressi a Firenze.

Il sassofonista Stefano Cocco Cantini e l’etruscologa Simona Rafanelli, direttrice del Museo Civico Archeologico di Vetulonia hanno impiegato dieci anni di studi e prove per venire a capo di quella che sembrava una missione impossibile: togliere dal cono d’ombra di 2600 anni d’oblio una musica affascinante, a tratti orientaleggiante. Una magia in sette note: le stesse note di 2600 anni fa. Decisiva l’intuizione di inserire un’ancia all’imboccatura della strumento come si può notare proprio nella tomba etrusca dei Leopardi a Tarquinia. Un’ancia come quella ancora oggi usata nei ‘launeddas’ sardi.

Il dettaglio dei flauti etruschi – © Raffaella Galamini

La particolarità di questi strumenti, come sottolineato dallo stesso Cantini, è la capacità di poter emettere in contemporanea due suoni: un bordone per accompagnare una serie di arpeggi che vengono modulati. Un unicum a livello musicale. La scoperta è avvenuta nell’ambito del progetto Musica Etrusca, iniziativa che va a inserirsi tra le progettualità della Rete Museale della Maremma di Grosseto e con il sostegno della Regione Toscana.

L’archeologa Simona Rafanelli – © Paolo Lo Debole

A rendere possibile la scoperta, una novità a livello mondiale, la possibilità di replicare gli strumenti a fiato, in legno di bosso e in avorio, dagli originali recuperati nelle acque della Baia del Campese: la nave affondata 2600 anni addietro e ora esposta nell’Antiquarium della Fortezza Spagnola di Santo Stefano, custodiva anche questo prezioso carico.

Dall’osservazione e dalle numerose prove effettuate Cantini e Rafanelli sono giunti a risultati sorprendenti: l’accordatura avveniva a 432 hertz, la frequenza che mette l’uomo in armonia con l’universo. I due studiosi sono giunti anche ad un altro sorprendente risultato: osservando i celebri dipinti di Tarquinia sono riusciti a ricostruire la tecnica utilizzata per suonare emettendo melodia e accompagnamento al tempo stesso.

Se è ancora evidentemente impossibile comprendere, in assenza di spartiti dell’epoca, quali fossero le melodie intonate dai flautisti nelle diverse occasioni del vivere sociale, laico e religioso, questo progetto ha consentito di ritrovare la voce reale ed unica degli strumenti rimasti ad oggi muti. Rompendo un silenzio durato almeno 2600 anni” concludono i due.

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