OPINIONE/

“Il Mostro”, una storia oscura mai finita

La serie tv firmata da Sollima e Fasoli racconta un’Italia patriarcale e violenta. Un’opera che offre una lettura inedita e diversa di uno dei casi giudiziari più controversi degli ultimi decenni

IL MOSTRO

Un duplice omicidio apparentemente (solo) “passionale”: la morte di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, nel 1968. Altre 7 coppie uccise in modo efferato in soli 11 anni, la stessa arma per ogni assassinio, una storia oscura, non solo di cronaca nera, che ha attraversato con il sangue la Toscana, la sua provincia fiorentina, con echi in tutto il mondo .

La mini-serie “Il Mostro” (4 episodi) creata da Mario Sollima e da Leonardo Fasoli, prodotta da Netflix, mette in scena una trama avvolgente, pur parziale, di una delle vicende giudiziarie più controverse del nostro Paese. Con una scelta precisa: il racconto della cosiddetta “pista sarda”, una delle ipotetiche chiavi interpretative di un caso epocale ancora irrisolto.

Gli autori provano, con il dovuto rispetto, a costruire una narrazione il più aderente possibile alle carte investigative e processuali, con uno sguardo multilaterale, tutto incentrato nelle torbide relazioni di alcune famiglie isolane migrate nella nostra regione, nei piccoli centri delle campagne fiorentine. Emerge uno spaccato di un’Italia di provincia ancestrale, primitiva, violenta, cupa, con una forte matrice patriarcale. Tetra.

Anatomie di corpi e di coscienze. Relazioni tossiche in cui alla fine diventa difficile decifrare i fatti, distinguere vittime e carnefici, protagonisti e comparse

L’altra Italia – quella al centro in quegli anni sessanta e settanta di un processo sociale di modernizzazione – rimane sullo sfondo. Si può cogliere soltanto in un cambiamento dalle canzoni che passano alla radio, da Gino Paoli a Lou Reed, sottofondo sonoro, però, di atroci dinamiche familiari e umane. Oppure nell’unica donna che prova a contrastare il serial killer, la magistrata Silvia Della Monica, figura chiave nella primissima fase dell’inchiesta.

Anatomie di corpi e di coscienze. Relazioni tossiche in cui alla fine diventa difficile decifrare i fatti, distinguere vittime e carnefici, protagonisti e comparse, in cui la sessualità è vissuta tra zone d’ombra, paura, conflitti, abusi domestici, voyerismo e pulsioni inconfessabili. Tutti hanno segreti, lati ambigui, riflessi di una società animalesca.

Un racconto compatto, sapiente, asciutto, con diversi piani temporali incrociati. Un intreccio inizialmente meccanico, ma che trova poi nella regia un pieno compimento soprattutto alla fine, pur non offrendo verità definitive, ma solo dubbi, suggestioni e turbamenti.

Sicuramente, per il momento, in attesa forse di una seconda stagione, quest’opera rappresenta una visione alternativa all’immaginario “catodico” alimentato dall’altro filone dei “compagni di merende”. Uno sguardo nell’abisso di quell’Italia, ma con forti richiami al presente e alla nostra attualità ancora fortemente intrisa di violenza, scossa da terribili femminicidi, inquinata da scorie ataviche di uomini che odiano le donne.

I più popolari su intoscana
intoscana
Privacy Overview

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.