Amine arriva in italia, dal Marocco, nel 2018. Per qualche tempo gira l’Europa senza punti di riferimento, cercando di costrursi un futuro, poi arriva a Firenze e la sua vita cambia quando incontra la Fondazione Solidarietà Caritas di Firenze con cui ora collabora per aiutare gli altri.
All’inizio, l’arrivo in Italia è stato difficile, racconta: “Avevo lasciato molto alle spalle e non avevo niente davanti. Dovevo ripartire da capo. Ma dentro sentivo che valeva la pena provarci”.
L’integrazione attraverso lo studio
Uno dei primi passi è stato lo studio. Amine in Marocco si era laureato in Diritto e dopo qualche mese dal suo arrivo si è iscritto all’Università. Un percorso avviato ma poi interrotto perché doveva lavorare ma che, come racconta, gli è stato di aiuto per integrarsi .
“Lo studio è stato un modo per capire dove mi trovavo, chi ero in questo nuovo contesto, come ragionava uno studente italiano. Era un percorso parallelo, che mi aiutava a conoscere il Paese e anche a conoscermi meglio”.
“La cosa che mi piace di più è sentirmi utile”
L’incontro con la Fondazione Caritas Firenze arriva attraverso un’attività di mediazione linguistica con una giovane donna. Amine entra così in contatto con il mondo dell’accoglienza e ne resta coinvolto profondamente. “Ricordo che tutto era nuovo. Non conoscevo la donna, non conoscevo ancora bene l’équipe. Ma ho capito subito che quello era un luogo dove non si resta indifferenti. La vita delle persone che accogli viene inevitabilmente a contatto con la tua”.
Quella prima esperienza è stata l’inizio di una collaborazione che, nel tempo, si è trasformata in un lavoro stabile. Oggi Amine fa parte di un team che opera in uno dei 20 centri d’accoglienza gestiti dalla Fondazione e segue anche appartamenti dell’accoglienza diffusa, parte una rete che arriva ad offrire fino a 386 posti letto.
Il suo ruolo è quello di operatore sanitario, ma come lui stesso spiega, “non c’è una linea fissa, non è matematica. Ogni giorno impari qualcosa di nuovo, ogni persona ti rimette in discussione”.
Amine non è mai stato in un centro di accoglienza, ma dice che si ritrova spesso nei volti delle persone che incontra. Riconosce in loro la fatica del cambiamento e la paura. “In molte delle persone che accogliamo rivedo qualcosa di me. Ma so anche che ognuno ha la sua storia, le sue cicatrici. Alcuni hanno vissuto situazioni molto più pesanti della mia. Quando torni a casa la sera, ti accorgi che certe storie ti restano addosso. Provo a fare il forte, ma ogni tanto le lacrime scendono lo stesso”.
Nel frattempo, Amine continua a coltivare le sue passioni. Suona, scrive musica e sogna un giorno di tornare all’Università. “La cosa che mi piace di più è sentirmi utile”. “Firenze mi ha accolto. E oggi, grazie alla Fondazione, posso restituire un po’ di quel bene ricevuto. Mi sento parte di qualcosa. E anche quando le giornate sono pesanti, so che ha senso esserci”.