Dal 24 settembre 2025 al 7 gennaio 2026, Casa Buonarroti a Firenze inaugura le sue sale espositive restaurate con una mostra che promette di affascinare e sorprendere: “La Sistina di Michelangelo. Un’icona multimediale”.
L’esposizione realizzata in collaborazione con i Musei Vaticani e la Regione Toscana rappresenta non solo un tributo al genio del Buonarroti, ma anche un percorso inedito attraverso le metamorfosi visive e culturali di uno dei più celebri cicli pittorici della storia dell’arte mondiale.
Con oltre 60 opere, la mostra racconta come la Cappella Sistina sia stata tradotta, reinterpretata e divulgata nei secoli grazie ai più diversi linguaggi: incisione, fotografia, editoria, cinema, televisione, pubblicità e arte contemporanea.
“Capolavori di una tale altezza continuano ad agire come lievito di creatività anche in tempi difficili – afferma Cristina Acidini curatrice della mostra – ridando fiducia nell’umanità e nel suo futuro”.

Un viaggio dal ‘700 ai giorni nostri tra foto, cultura di massa, merchandising e arte contemporanea
Il percorso parte dalle prime incisioni sette-ottocentesche di Tommaso Piroli, Conrad Martin Metz e Giovanni Volpato, che traducevano in rame le grandi figure della Volta e del Giudizio Universale, fino alle campagne fotografiche che hanno reso la Sistina un patrimonio visivo globale.
Fondamentale il lavoro di Adolph Braun alla fine dell’Ottocento, seguito da Fratelli Alinari, Brogi, Anderson e dalle tavole cromolitografiche della Arundel Society, che alimentarono la costruzione del mito michelangiolesco.
Il Novecento segna una svolta: il servizio fotografico a colori di Frank Lerner per Life nel 1949, la documentazione scientifica di Pasquale De Antonis e Roberto Salvini nel 1964, fino al critofilm di Carlo Ludovico Ragghianti, che usò il linguaggio cinematografico come strumento critico per interpretare l’opera.
Parallelamente, la diffusione editoriale e mediatica trasformò dettagli come la celebre Creazione di Adamo in icone popolari, rielaborate da artisti pop come Tano Festa e diventate emblemi di cultura di massa, merchandising e pubblicità.
Un ruolo importante ebbe anche lo storico dell’arte Leo Steinberg, che per primo considerò le riproduzioni della Sistina come immagini di consumo degne di studio. In mostra saranno visibili oltre quaranta stampe tratte dalla sua collezione, testimonianza della fortuna visiva del capolavoro.
Il restauro della Cappella Sistina negli anni Ottanta, diretto dai Musei Vaticani, e la monumentale campagna fotografica di Takashi Okamura (1980-1999) hanno restituito alla contemporaneità la brillantezza originaria dei colori michelangioleschi, rivelando la potenza cromatica come chiave interpretativa dell’opera.
In tempi recenti, nel 2015 Bill Armstrong ha creato la serie Gestures, fotografie che trasformano le figure michelangiolesche in visioni sospese, tra fuoco ed evanescenza. L’artista canadese sarà protagonista, insieme a Tommaso Casini (Università IULM), di un incontro inaugurale il 24 settembre.
La mostra si chiude con un’opera dal forte valore simbolico: Not in my name (2014) dell’artista sudanese Khalid Albaih, che rielabora l’iconografia sistina come veicolo di un messaggio contro le guerre e in difesa dell’essenza umana, più attuale che mai.
