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© Ilaria Magliocchetti Lombi

Musica /

Gli Zen Circus suonano per restare umani tra fragilità e redenzione, guardando in faccia “Il Male”

Il 5 dicembre al Teatro Cartiere Carrara a Firenze torna in concerto uno dei gruppi più amati della Toscana che ha fatto della coerenza la sua bandiera, gli Zen Circus presenteranno live il loro ultimo disco “Il Male”. Ecco la nostra intervista a UFO

C’è sempre stato, nei dischi dei The Zen Circus, un filo che lega la ferocia del reale alla tenerezza di chi continua a resistere.

Nel loro ultimo disco Il Male, uscito per Carosello Records, quella tensione diventa centro e titolo, materia viva da attraversare senza maschere.

Undici brani che parlano di dolore, di fragilità, di quella parte di noi che spesso preferiamo ignorare ma che, se ascoltata, sa raccontarci meglio di qualunque posa.

Nel mondo dell’apparenza, dove tutto deve sembrare bello e luminoso, Il Male sceglie di restare nella penombra. È lì che i The Zen Circus trovano la loro voce più sincera: un suono diretto, spoglio di retorica, che difende l’imperfezione come atto di verità.

A dare forma visiva a questo universo c’è anche Malefico Presente, una tavola firmata da Enzo Sferra, storico illustratore della rivista satirica Il Male: un incontro tra satira e musica, ribellione e poesia, che trasforma l’edizione in vinile in un piccolo oggetto d’arte.

Ne abbiamo parlato con UFO, al secolo Massimiliano Schiavelli, basso e anima storica del gruppo, per capire cosa significhi oggi raccontare il “male”, suonarlo, guardarlo in faccia. E scoprire che, a volte, è proprio da lì che ricomincia la vita.

Ecco la nostra intervista a Ufo degli Zen Circus

Ciao Massimiliano, “Il Male” è un titolo diretto, molto forte. Da dove nasce l’urgenza di affrontare un tema così complesso?

Abbiamo fatto un break dal tour di due anni in cui ci siamo messi a lavorare su brani nuovi perché Andrea aveva delle idee. In sala prove ci siamo accorti che veniva sempre fuori “il male” che poteva essere intimo, mondiale o storico. A un certo punto al quarto-quinto brano è come se il disco si fosse autoproclamato da solo. Così abbiamo deciso di farla diventare una riflessione o un tentativo di fare una riflessione sull’accezione più ampia e diversificata possibile del male. Un male che si origina, dentro, fuori e intorno a noi.

non essendo mai stati di moda, non c’è mai stato “hype” attorno alla band e questa penso sia stata la nostra più grande fortuna

In “Il Male” emerge anche un senso di fragilità come valore umano. È una risposta consapevole a un’epoca in cui si vive in funzione della propria immagine?

Certo c’è la fragilità perché a un certo punto il male si cerca di vederlo, accettarlo e capire che radici ha dentro di noi. La fragilità la tiriamo fuori perché nel discorso pubblico il male viene allontanato, dagli anni ’80 ad oggi, con discorsi tipo “I cinque modi per stare meglio”, i frullati proteici, la ginnastica, la mindfullness. È tutto proteso al bene, tutti pensano di fare del bene, io credo che anche Netanyahu in questo momento sta pensando di fare del bene. Accettare che il male siamo anche noi, il fatto di prendere le misure al male, cercare di avvicinarlo e capirlo, tutto questo porta alla fragilità. Se seguissimo il rimosso del male degli ultimi decenni, dovremmo essere tutti bravi e buoni. La fragilità non viene mai nominata, i cimiteri vengono costruiti lontano, fuori dalle città. Invece la fragilità, il brutto, la cattiveria esistono e il nostro disco è un tentativo di riconciliarsi con questo.

Nel disco c’è il brano “Meglio di niente”, Appino ha raccontato di aver “sognato” questa canzone, è vero?

Si, abbiamo anche la prova audio di lui che la mattina si sveglia e prova a raccontarlo. Paradossalmente ha sognato che eravamo in uno studio televisivo e la stavamo suonando. Si è svegliato con in mente questi accordi. La prima volta che l’abbiamo eseguita è stato in uno studio televisivo. Ho avuto un po’ paura, ti dirò.

Dopo “L’ultima casa accogliente”, questo nuovo lavoro sembra più crudo, più diretto. È stata una scelta estetica o una necessità?

I nostri ultimi dischi erano molto più lavorati, con molte più stratificazioni. In questo abbiamo deciso di tornare a un approccio più di petto, c’è solo basso, chitarra e batteria. Tutto limitato al minimo per rispecchiare un aspetto più da sala prove. Abbiamo tolto intonazioni, editing, tutto quello che è artefatto. Non perché così sia meglio, solo perché volevamo dare più verità e sostanza.

accettare che il male siamo anche noi, il fatto di prendere le misure al male, cercare di avvicinarlo e capirlo, tutto questo porta alla fragilità

Dopo venticinque anni di carriera e dodici dischi, sul palco avete ancora una forte energia punk e una libertà che molti gruppi perdono col tempo. Dove trovate la scintilla per continuare a suonare con la stessa urgenza?

Sarà un misto di incoscienza e ostinazione, perché veniamo dalla provincia con quella voglia di fare, girare, vedere. A noi la musica ha dato tanto perché veniamo da una realtà svantaggiata. Penso che quel pungolo, quella chiamiamola “cazzimma” non ci abbia mai abbandonato. Abbiamo suonato tanto per strada e questa è stata una grande palestra, ci ha plasmato. Abbiamo anche un grande supporto del pubblico, se loro non fossero come sono magari adesso saremmo più compiaciuti, rilassati. Invece vedo che il pubblico da una risposta talmente forte che ci fomenta. Tutti questi fattori più una bella dose di incoscienza sicuramente ci hanno aiutati. Siamo stati sempre così, il giorno che non avrò più voglia di andare a suonare sarà un giorno veramente nefasto, ma per ora non vedo l’ora di salire su un palco, è il mio posto. A 53 anni l’unica cosa di cui non sento la mancanza è il furgone, ci fosse preferirei un’auto-lettiga, ma ancora non l’abbiamo inserita nel budget.

Negli anni siete diventati un punto di riferimento transgenerazionale. Come vivete oggi il rapporto con un pubblico che va dai fan storici ai ragazzi che vi scoprono ora?

Per noi è una grandissima sorpresa, pensavamo di diventare un gruppo per nostalgici. Ma non essendo mai stati di moda, non c’è mai stato “hype” attorno alla band e questa penso sia stata la nostra più grande fortuna. Non essendo mai stato il nostro anno è sempre il nostro anno. Per i ragazzi del liceo siamo una band “nuova” e questo ci da un grandissimo moto propulsivo. Ci siamo accorti che nel nostro pubblico ci sono figli e genitori, il nostro sogno un giorno è diventare come i Nomadi, magari.

Guardando al vostro percorso, mi sembra che ogni vostro album sia il capitolo di un’autobiografia collettiva. Chi sono oggi gli Zen Circus?

Bella domanda, è vero sono tutti capitoli di un’autobiografia personale e collettiva perché noi abbiamo sempre creduto in una dimensione sociale della musica, più che politica. Mi piacerebbe anche vederli tutti da lontano come un unico disco. Chi sono gli Zen Circus? Nel 2001 da una rivista musicale venimmo definiti degli “scappati di casa che si sono montati la testa”. Ancora oggi nel 2025 siamo degli “scappati di casa che si sono montati la testa”.

THE ZEN CIRCUS in TOUR 2025

28 novembre – Padova – Hall – SOLD OUT
29 novembre – Padova – Hall Nuova Data
3 dicembre – Milano – Alcatraz
4 dicembre – Torino – OGR Torino
5 dicembre – Firenze – Teatro Cartiere Carrara
11 dicembre – Roma – Atlantico
12 dicembre – Bologna – Estragon – SOLD OUT
13 dicembre – Bologna – Estragon – Nuova Data
26 dicembre – Molfetta – (BA) – Eremo
27 dicembre – Senigallia (AN) – Mamamia
28 dicembre – Napoli – Duel
29 dicembre – Perugia – Urban

The Zen Circus – © Ilaria Magliocchetti Lombi

Informazioni sull’evento:

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