A ogni edizione si ripete lo stesso copione: numeri da record, eventi da urlo, e una Lucca che per cinque giorni diventa il centro del mondo pop. Quest’anno con l’evento di Stranger Things e la partecipazione di ospiti internazionali come Hideo Kojima, la città ha riconfermato la sua capacità di trasformarsi in un gigantesco palcoscenico globale.
Un modello di comunicazione e organizzazione senza eguali in Italia: la macchina funziona, il brand è potentissimo, e la visibilità turistica è enorme.
Per una settimana Lucca si riempie di lingue, culture, telecamere e curiosità. Gli alberghi fanno il tutto esaurito, i ristoranti lavorano senza sosta, i flussi turistici si moltiplicano. È la consacrazione definitiva del festival come evento-città, dove il territorio stesso diventa parte della narrazione.
Ma per i lucchesi, per chi la città la vive ogni giorno, il rovescio è sempre più pesante. Per cinque giorni Lucca non è più abitabile: strade chiuse, code ovunque, parcheggi introvabili, treni saturi, rumore continuo. Un assedio allegro, certo, ma pur sempre un assedio. La città, in quei giorni, appartiene a tutti — tranne che a chi ci vive.
Sul piano organizzativo, l’efficienza resta straordinaria. Ogni anno l’affluenza aumenta e ogni anno, miracolosamente, non succede nulla di grave. E questo va riconosciuto. Così come va riconosciuto il lavoro di valorizzazione degli autori protagonisti delle mostre principali, che spesso diventano “stelle” internazionali proprio grazie a Lucca. E anche il rapporto con le istituzioni, sempre più rodato e strategico, testimonia un equilibrio raro tra cultura e gestione, quest’anno al taglio del nastro ha partecipato lo stesso ministro della cultura, Alessandro Giuli.
Poi, però, c’è l’altra faccia del festival. Perché l’eccellenza, quando diventa routine, rischia di trasformarsi in autocompiacimento.
L’esperienza del pubblico – soprattutto di chi non ha budget illimitati – peggiora di anno in anno. Biglietti e alloggi sempre più cari, code interminabili, difficoltà a fruire davvero dei contenuti. Molti eventi sono diventati inaccessibili per il pubblico “normale”, non accreditato, non abbiente, non cosplay di professione: i firmacopie e le sessioni speciali si esauriscono in pochi secondi su Eventbrite, spesso assaltata da bot e scalper che poi rimettono in vendita i biglietti sulle piattaforme di compravendita. È un meccanismo che penalizza la passione e premia chi può (o vuole) spendere di più. E che alimenta un mercato parallelo sempre più opaco.
Gli scalper sono ormai una costante: si accaparrano edizioni speciali, variant cover, gadget limitati, e li rivendono a prezzi gonfiati pochi minuti dopo. È un fenomeno noto, ma sempre più invasivo, che toglie spazio a chi viene per amore del fumetto e non per investimento.
Il caso più discusso di questa edizione è stato quello del mangaka giapponese Tetsuo Hara, autore di Ken il guerriero. La sua partecipazione ha generato polemiche per i prezzi dei pacchetti d’incontro, organizzati esternamente dal suo editore giapponese Coamix: da 1.750 a 12.600 euro per un incontro privato, una foto o una dedica personalizzata. Un episodio che, pur non essendo direttamente imputabile a Lucca Comics & Games, ha comunque alimentato la percezione di un evento in cui il confine tra passione e mercato è diventato sempre più sottile. Non è la prima volta che accade: negli anni scorsi anche altri autori internazionali hanno proposto listini da collezionismo puro, e la tendenza sembra in crescita. Per qualcuno è normale: un modo per regolamentare la domanda. Per altri, è il segno che qualcosa si sta perdendo.
Intanto, gli spazi tradizionali della fiera sembrano sempre più colonizzati da logiche commerciali. La Japan Town, ad esempio, è diventata un dedalo di stand di gadget dove il fumetto e la cultura giapponese faticano a emergere tra le bancarelle dove non manca la merce contraffatta. Nell’Area Games trovano sempre più spazio i rivenditori di carte collezionabili, Pokemon su tutti, il cui valore e il flipping è cresciuto a dismisura negli utlimi anni.
Il fumetto, quello vero, sembra diluirsi nell’esperienza. Non sparisce, ma si confonde. Travolto dall’effetto evento, inghiottito da show, talent, performance, content creator, influencer e momenti social. I grandi nomi nel ricchissimo programma della manifestazione fanno da gancio per il pubblico e per i media, ma finiscono per schiacciare i piccoli editori e gli autori emergenti, che restano ai margini.
E poi ci sono i disagi concreti: parcheggi insufficienti, treni strapieni, pioggia battente che ogni anno si ripresenta puntuale — la leggendaria Lucca Comics & Rain — a rendere ancora più complicata la vita di chi prova a muoversi tra i padiglioni. Una situazione che molti accettano con spirito d’avventura, ma che per altri segna la linea tra il sogno e il caos.
Resta, alla fine, l’ambivalenza di sempre: Lucca Comics & Games è un capolavoro di comunicazione e un motore turistico senza eguali, ma anche un colosso che fatica a proteggere la sua anima più autentica, senza voler per forza richiamare l’esperienza del PalaTagliate. È la rappresentazione perfetta del nostro tempo: un evento che nasce dall’amore per la cultura pop e finisce per rispecchiare tutte le sue contraddizioni.
Si esce stremati, felici e un po’ disillusi. Con la sensazione che la magia ci sia ancora — ma che, come ogni anno, bisogna cercarla sempre più lontano dalle luci.