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Le piccole e grandi storie della gente comune in finale al Premio Pieve

Dal 18 al 20 settembre a Pieve Santo Stefano torna la manifestazione che premia le memorie autobiografiche che dal 1984 vengono raccolte in questo borgo grazie all’Archivio dei Diari.

La guerra e i grandi eventi storici ma anche i drammi privati come la malattia e la violenza domestica: sono le vicende delle persone comuni, a volte testimoni dei loro tempi e a volte solo della loro storia personale, le protagoniste del Premio Pieve, che quest’anno torna nonostante la pandemia di Covid-19 nel piccolo borgo di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, che dal 1984 ospita l’Archivio diaristico nazionale.

Un’esperienza unica al mondo che raccoglie oltre 8mila memorie autobiografiche – tra diari ed epistolari – e che da 36 anni attraverso il Premio Pieve seleziona gli scritti più interessanti arrivati all’Archivio e prevede per il vincitore, oltre a un premio in denaro, anche la pubblicazione con Terre di mezzo. Chiunque infatti può mandare i carteggi o i taccuini rinvenuti nelle case dei nonni o nelle soffitte ma anche le proprie memorie: l’obiettivo della straordinaria esperienza di Pieve Santo Stefano, voluta dal giornalista Saverio Tutino, è proprio di salvare dall’oblio le piccole e grandi vicende della gente comune, le vite degli altri che anche nella loro semplicità hanno sempre qualcosa da insegnare ai posteri.

Gli otto diari finalisti

Sono otto i diari finalisti di quest’edizione del premio in programma dal 18 al 20 settembre, a cui per via delle misure di distanziamento si potrà partecipare su prenotazione.

Partono con i tremendi bombardamenti di Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale le memorie di Giovanni Battista Eventi, nata proprio nella città partenopea nel 1932: i suoi primi ricordi sono il suono dell’allarme aereo e la fuga nel rifugio con i genitori. Da qui la famiglia sfolla a Boscotrecase, sotto il Vesuvio ma la pace dura poco: il padre di Giovanna viene catturato dopo l’8 settembre e finisce in un campo di lavoro in Germania, la piccola lo rivedrà solo due anni dopo, e nel marzo del 1944 sono costretti a fuggire di nuovo questa volta per colpa dell’eruzione del Vesuvio.

Nel diario di Umberto Guidotti, torinese classe 1925, leggiamo invece la guerra vista con gli occhi di un ragazzo non ancora maggiorenne che decide di arruolarsi volontario nella X Mas e combattere per la Repubblica Sociale Italiana, perché è cresciuto nel regime fascista e crede nei suoi ideali, e per questo finisce poi in un campo di prigionia.

Diversa l’esperienza del barese Raffaelle Resta, che nel giugno del 1942, a vent’anni, si ritrova a partire per il fronte russo: la terribile esperienza bellica, insieme alla scoperta dello sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista (“Arriverà quel giorno che il sangue di questi disgraziati sarà rivendicato, e non sarà molto lontano” scrive Raffaele) si intreccia con la forza della gioventù del ragazzo, pronto in ogni occasione a corteggiare le “bariscine”, ovvero le giovani russe.

Usciamo dall’Italia per scoprire attraverso le drammatiche pagine di Jean-Paul Habimana, classe 1984, l’ultimo genocidio del Novecento, ovvero quello avvenuto in Ruanda nel 1994 che fa 1 milione le vittime, in prevalenza uomini, donne e bambini di etnia tutsi. Come Jean-Paul, che racconta la sua lotta per sopravvivere e l’orrore a cui un bambino come lui è costretto ad assistere, nascondendosi addirittura sotto una pila di morti per salvarsi la vita (“Rimasi immobile, sotterrato dai cadaveri per un tempo che mi parve infinito”).

Finalisti Premio Pieve 2020
I finalisti del Premio Pieve

Anche la lotta narrata nelle memorie di Tania Ferrucci è per la sopravvivenza: nata bambino nei bassifondi di Napoli nel 1960 fin da piccola si sente diversa e purtroppo subisce a soli 7 anni la prima violenza sessuale, da uno degli uomini che frequentano la casa di sua madre, che fa la prostituta.

Un’infanzia povera e nella violenza anche quella di Anna De Simone, nata a Massa d’Albe, in provincia de L’Aquila nel 1954, che a 65 anni in questa autobiografia che traccia il bilancio della sua vita. Nata in una famiglia disastrata, da una madre giovanissima che a soli 14 anni ha avuto il primo figlio, Anna sperimenta le privazioni e la fame (“Non conoscevo cibo, solo un tozzo di pane e brodaglia rancidita, nelle tasche del mio grembiulino da bambina c’era solo il sale”) e poi a otto anni la violenza sessuale da parte del compagno della madre.

Rosenza Gallerani invece, nata a Cento (Ferrara) nel 1951 affida al suo diario il racconto doloroso della scoperta e del decorso di una malattia alla quale rifiuta di arrendersi. Il “male”, come lei lo chiama, ha due volti. Dapprima è la leucemia a cui fa seguito il trapianto di midollo: l’operazione riesce ma porta con sé la Graft versus host disease, una complicazione che scatena una complessa reazione immunologica e le compromette il sistema immunitario.

Infine in finale anche un diario diverso dagli altri, quello di Paolo Schiavocampo, l’artista plastico di fama internazionale nato a Palermo nel 1924 che ripercorre tutta la sua esistenza, la dimensione artistica ma anche quella privata di marito e padre, e al centro di tutto la Sicilia, la sua terra natale dove finisce per far sempre ritorno.

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