Il funerale del Perozzi in Santo Spirito, gli schiaffi sul treno a Santa Maria Novella e poi la supercazzole al vigile di fronte al Bar Necchi in San Niccolò. Firenze si ritrovò nella sua immagine più autentica sul grande schermo quel 15 agosto del 1975, impressa nel capolavoro cinematografico di Mario Monicelli. “Amici miei” è sarcastico, dissacrante, malinconico, feroce. Si ride, ma di un riso amaro.
Uscì a Ferragosto, strano, ma fu un successo graduale e, a conti fatti al botteghino superò anche “Lo Squalo” di Spielberg. Dopo un’anteprima a Taormina accolta tiepidamente dalla critica, nel luglio di quell’anno, la commissione di censura lo vietò ai minori di 14 anni. Un divieto che spinse nelle sale tantissimi curiosi e fu un successo incredibile.

Oggi, dopo mezzo secolo, è un pilastro del cinema d’autore, studiato, citato e ha cambiato anche il nostro vocabolario. “Supercazzola” e “zingarata” sono entrate nel lessico comune e nella Treccani.
L’idea fu di Pietro Germi, che però a causa della malattia abbandonò il set. Chiese a Mario Monicelli di completarlo e consegnarlo alla storia e così fu. La leggenda narra che Germi, al momento di lasciare la troupe, disse salutando: “Amici miei, ci vedremo, io me ne vado”, da qui il titolo.
Il cast e i rifiuti eccellenti
Per scrivere il film, Germi si ispirò a una storia vera degli anni ’30, ambientata a Castiglioncello: cinque giovani che passavano il tempo a fare scherzi. Erano Mazzingo Donati, immunologo fiorentino, Ernesto Nelli, architetto, Giorgio Menicanti, nobile, Silvano Nelli, giornalista, e Cesarino Ricci, collaboratore di Silvano.
Ad interpretare questo gruppo di toscanacci fu un cast stellare e per nulla toscano. Ugo Tognazzi è il conte Mascetti, Philippe Noiret è il giornalista de La Nazione il Perozzi, Aldolfo Celi è il professor Sassaroli, Gastone Moschin è il Melandri (l’amante più sfortunato) e Duilio Del Prete il Necchi, gestore del bar. Da ricordare anche il Righi (interpretato da Bertrand Blier), l’ingenuo pensionato che si ritrova vittima di una delle più feroci zingarate.
A contribuire ad alimentare il mito del film furono anche i no eccellenti. Prima quello di Mastroianni che rifiutò il ruolo del conte Mascetti e poi quello di Raimondo Vianello che declinò perché non voleva perdere nemmeno una partita della nazionale impegnata nei mondiali di calcio.
Zingarate e supercazzole
“Amici miei” inizia in una Firenze all’alba, quando il giornalista Perozzi finisce il turno a La Nazione e si incrocia con le anime della notte, baristi e prostitute. Non vuole dormire, si ribella alla sua vita anonima e prevedibile, criticata, e chiama a raccolta per una zingarata memorabile tutti i suoi amici: Necchi, Mascetti, Melandri, a cui si aggiunge anche il professor Sassaroli. Da qui è un crescendo di “supercazzole” senza soluzione di continuità, che si intreccia con le brutture della vita reale a cui i cinque sfuggono vagabondando nella Toscana negli anni ’70.
Anche la morte diventa una “supercazzola” che si dissacra con una risata, per onorare la vita che si è scelto. Malinconia e cinismo uniscono la genialità di Germi e Monicelli che si concretizza in un capolavoro di umanità, senza tempo, che parla ancora di noi.

Amici miei ha avuto altri due atti. Il secondo fu diretto sette anni dopo sempre da Monicelli, con Renzo Montagnani (doppiatore di Philippe Noiret) al posto di Del Prete. Per terzo e ultimo episodio si passò invece alla regia di Nanni Loy.