Umanizzare la tecnologia, per essere anche noi più umani. Un processo inverso dell’evoluzione che descrive bene la china presa dalle relazioni sociali. Se l’assistente virtuale è visto sempre come un’accezione servile, il futuro non tanto lontano ci promette gentilezza ed empatia anche con le voci sintetizzate dall’intelligenza artificiale e con gli umanoidi. Una robotica sociale, empatica e non assistenziale, come quella che da anni, quasi un decennio, l’Università di Pisa e i suoi ricercatori stanno realizzando e che è sfociata in tecnologie all’avanguardia come il famoso robot umanoide Abel e, da ultima, la voce Azzurra, la più “umana” d’Italia.
A lavorare su questo filone c’è Cartesia, spin-off dell’ateneo pisano, fondato, da Lorenzo Cominelli, ceo, ingegnere biomedico specializzato in robotica sociale, e Federico Andrea Galatolo, cto, ricercatore in intelligenza artificiale e docente. Con loro parliamo del presente e del futuro di queste innovazioni, dalle potenzialità enormi e dalle conseguenze sociali anche sorprendenti.
Come spin-off avete lavorato sulla robotica sociale e ora vi si sono aperti altri scenari
Noi veniamo dall’ingegneria biomedica e dall’ingegneria informatica. Abbiamo sempre fatto strumenti con un’attenzione particolare sia all’interpretazione che all’espressione delle emozioni. Per almeno dieci anni abbiamo lavorato solo sulla comunicazione non verbale, cioè sulle espressioni del corpo. Questo perché le tecnologie venivano applicate con persone che hanno problemi come l’autismo o l’alzheimer, che hanno in generale dei disturbi nella comprensione delle emozioni e delle espressioni. Abbiamo quindi un bagaglio di esperienze e di competenze unico su come utilizzare una macchina per esprimere delle emozioni in maniera realistica e umanoide. Come la voce di Azzurra, come l’umanoide Abel. E la missione di Cartesia è questa, fare quella che è la terza missione dell’università, il trasferimento tecnologico: dare alle persone la possibilità di utilizzare strumenti di ricerca avanzatissima.
Umanizzare e personalizzare la tecnologia. Perché questa necessità?
Tutte le tecnologie che noi svilupperemo come Cartesia saranno sempre tendenti all’umano, non per similitudine ma per comprensione. Come spin-off nasciamo per dare la possibilità a tutti, nella realtà quotidiana, di godere e usufruire delle tecnologie che stiamo sviluppando, certo, ma c’è anche una missione più ampia che è emersa come una sensazione di urgenza e di rischio. Tantissime aziende hanno annunciato nuovi umanoidi e ci fanno vedere sempre robot che hanno tutti una caratteristica spaventosa, sono completamente depersonalizzati e non hanno nemmeno una faccia. A noi questo ci ha spaventato moltissimo e vogliamo entrare in questo mercato proponendo qualcosa di diverso che tenga conto di due cose. L’intelligenza umana non funziona così, ce lo dicono le neuroscienze, ma le emozioni influenzano le decisioni umane. Secondo, non è possibile creare un’unica intelligenza artificiale con cui tutti parlano, perché è una media di tutti e non è nessuno. Non è possibile fare dei robot, che non si capisce che intenzioni hanno e che non prendono in considerazione i cambi di umore.
La direzione che ha preso il mercato che rischi comporta?
Prima di tutto, avere accanto degli agenti artificiali che non comprendono i nostri comportamenti e poi c’è un rischio ancora più alto, che è di reazione: diventiamo insensibili, cioè ci abbassiamo al linguaggio delle macchine e quindi pian piano non solo interagiamo con chi non ha una faccia, ma ci togliamo anche la nostra e non la usiamo più. A forza di interagire in questo modo, senza più dire banalmente né grazie né per favore, trasferisco questa interazione sulle persone biologiche. Non possiamo andare verso questo impoverimento. Assistiamo alla sparizione di un’aggregazione sociale normale, dovuta anche al covid e a tanti altri fattori, in cui c’è una perdita del contatto empatico. L’infusione continua, come ci promettono, di milioni di questa popolazione di agenti artificiali deumanizzati è spaventosa. Non la vogliamo
Quindi umanizziamo i robot per ritornare noi un po’ più umani
Hai detto il nostro motto: humanizing machines, demachinizing humans.
Come avete intenzione di fare quindi?
Per quanto riguarda Azzurra, la voce, rilasceremo nei prossimi mesi un modello più orientato a essere un amico e non un assistente, meno servile e meno assistenziale. Poi, alla fine dell’anno, probabilmente avremo un software per realizzare un agente artificiale, locale, privato e personale che mette insieme tutti i vari componenti, quindi la voce, la sintesi vocale, la sintesi delle risposte e lo speech recognition. Stiamo anche realizzando la nuova versione del robot umanoide Abel, sarà pronta entro il 2026 e sarà ancora più fluida e più realistica. E poi altre novità che presenteremo all’Internet Festival e al Festival della Robotica, che coinvolgeranno anche la cultura e il turismo.