Cultura/

Le parole della violenza: tutti gli stereotipi da abbattere

La giornalista televisiva e criminologa Laura Berti elenca le parole da evitare quando si parla di violenza sulle donne

RAPTUS: nessun femminicidio avviene mai all’improvviso, è sempre l’esito di un’escalation di violenza che non è stata intercettata o fermata in tempo.

FOLLIA: usare questa parola è un modo per regalare un alibi emotivo al carnefice e fa pensare che chi compie questi delitti sia una persona con disturbi psichici.

AMORE MALATO: questa espressione è un ossimoro, l’amore è il contrario della violenza, che non può mai essere descritta come l’esito di una passione amorosa.

DESCRIVERE COME ERA VESTITA LA VITTIMA: lascia passare l’idea che ci sia una giustificazione possibile per gli atti violenti, umiliando la donna e la sua libertà di scelta.

DESCRIVERE IN DETTAGLIO LE FERITE SUBITE: è un atteggiamento morboso e voyeuristico che provoca soltanto dolore nella vittima, senza aggiungere nulla a ciò che l’opinione pubblica può conoscere dei fatti.

‘ERA UN BRAVO RAGAZZO (UN PADRE PREMUROSO, UN UOMO BUONO): è come sminuire la versione dei fatti della vittima, come dubitare che sia possibile quanto è successo.

SE L’È CERCATA: significa colpevolizzare la donna e dare un perchè a gesti che non possono essere in alcun modo giustificati.

LEI LO TRADIVA: è un dettaglio privato che crea un alibi che colpevolizza la donna.

PERCHÈ LEI NON LO HA LASCIATO? Andarsene per le donne non è mai semplice e i motivi possono andare dal ricatto economico, alla presenza dei figli, alla paura di essere giudicate dall’esterno.

DARE PIÚ SPAZIO AI DELITTI CHE COINVOLGONO STRANIERI: distorce la realtà che vede come autori delle violenze mariti, compagni o familiari stretti in oltre il 70% dei casi.

Foto di Burdun Iliya

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