Cultura /L'INTERVISTA

Il mostro di Firenze e la pista sarda nella serie Netflix di Sollima. Valentino Mannias: “C’è un’Italia scomoda da raccontare”

Quattro puntante che ripercorrono gli 8 duplici omicidi seguendo un filone investigativo diverso dai “compagni di merende”: la fotografia di un paese retrogrado, dove pervade il patriarcato e la mascolinità tossica. Parla l’attore sardo che interpreta Stefano Vinci

La Toscana delle dolci colline macchiate di sangue dai delitti del mostro di Firenze squarcia ancora una volta il piccolo schermo. Stefano Sollima firma la serie-evento Netflix in quattro puntate  (disponibile dal 22 ottobre) lasciando da parte i compagni di merende e i personaggi violenti e volgari della provincia, ma esplorando in maniera coraggiosa  – e inedita per la tv – la “pista sarda”. Un filone investigativo che ancora oggi ha i suoi sviluppi e che entra nella comunità immigrata di inizio anni ’60, ma soprattutto nell’italietta patriarcale e tossica dove le donne si posseggono e si contendono come oggetti.  Oggi come ieri.

“Il Mostro” –  creata da Leonardo Fasoli e lo stesso Sollima, per una produzione The Apartment/Fremantle e AlterEgo – ripercorre 17 anni e 16 omicidi, le indagini per cercare la mano che impugnò la beretta calibro 12. Un cast per lo più sardo – Marco Bullitta, Valentino Mannias, Francesca Olia, Liliana Bottone, Giacomo Fadda, Antonio Tintis e Giordano Mannu – che entra nelle vite dei possibili mostri, le sviscera e le esplora senza la morbosità del voyeurismo, ma con l’obiettività della ricerca documentale e il rispetto delle vittime che ancora non hanno giustizia.

Valentino Mannias, l’attore sardo che interpreta Salvatore Vinci

Il giovane attore cagliaritano, Valentino Mannias, interpreta una delle figure chiave della vicenda, Salvatore Vinci. È uno dei fratelli amanti della prima vittima, Barbara Locci. Uomo violento, un possibile mostro appunto. L’interpretazione di Mannias ha richiesto una notevole prova artistica, notata dalla critica anche alla 82° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove la serie è stata presentata fuori concorso.

Valentino-Mannias (a destra) e GiacomoFadda @Emanuela Scarpa/Netflix

Valentino Mannias, come è stato immergersi nell’orrore del mostro di Firenze?

Come immergersi in una tragedia greca, con la differenza che i fatti narrati sono molto più vicini a noi. È una storia molto complessa, con poche certezze, dove ogni giudizio affrettato non trova alcun terreno fertile, soprattutto per un attore che interpreti la parte di un presunto colpevole. Come mi disse una volta un giovane cantore, è stato come cantare con un punto interrogativo in gola.

Ho lavorato sulla recitazione non pensando di dover interpretare un “mostro”, sospendendo ogni giudizio morale di innocenza o colpevolezza

Il mostro è ancora una ferita per Firenze, come pensa verrà accolta la serie dalla città?

Presumo che ci possano essere diversi tipi di reazioni. Da una parte potrebbe esserci chi, purtroppo, avendo vissuto questa storia da molto vicino,
comprensibilmente non ama sentirne parlare. È anche e soprattutto nel rispetto di queste persone che si è scelto di trattare il racconto da un punto di vista obiettivo, attenendoci ai fatti, senza cercare di risolvere o di spettacolarizzare il dolore, ma di ricordare. Credo che una civiltà che fa memoria dei propri dolori abbia uno strumento in più per conoscersi. “Solo chi soffre sa” , per tornare alle tragedie. Più in generale è sicuramente una storia conosciuta da molti ma sono molto curioso di come Firenze potrà recepirla.

La serie segue quella che nelle indagini è definita “pista sarda”, senza coinvolgere i “compagni di merende”. Da artista sardo, come si è preparato per interpretare il personaggio?

Penso che chi ha sempre associato questa storia solamente a “se ni’ mondo esistesse un po’ di bene” possa rimanere molto colpito dallo scoprire da dove son partite le indagini.
Personalmente ho lavorato sulla recitazione non pensando di dover interpretare un “mostro”. Che ci piaccia o no le cose più tremende, l’istinto alla violenza, l’orrore, le abbiamo dentro, altrimenti non potremmo riconoscerle al di fuori di noi. Un attore cerca semplicemente di indagare dentro di sé questi aspetti per mostrarli agli altri, sospendendo ogni giudizio morale di innocenza o colpevolezza sul proprio personaggio, cercando piuttosto le ragioni che lo hanno portato a compiere determinate azioni. Chiaramente come società facciamo l’esatto opposto, mettiamo un’etichetta per distinguere da noi il male e stigmatizzarlo. Da bambini lo chiamiamo il lupo, da grandi diventa “Il Mostro”. Ma questo non è molto utile ai fini interpretativi e impoverisce l’immaginario invece che arricchirlo. Il fatto di essere sardo poi è sicuramente stato un vantaggio dal punto di vista linguistico e nell’analisi della migrazione dei sardi nelle campagne toscane dagli anni 60’ in poi. Io stesso in fondo per fare questo mestiere son dovuto migrare nel continente.

Il Mostro @Emanuela Scarpa/Netflix

È la fotografia di un’Italia retrograda, scomoda da raccontare e da riconoscere

La Toscana e in generale l’Italia ricostruita attraverso i delitti del mostro è molto diversa da quella di oggi?

Da un certo punto di vista mi sembra cambiato da allora, da un altro purtroppo non ancora abbastanza. La storia del Mostro di Firenze mette in luce l’Italia dal boom economico che affronta una transizione claudicante da mondo contadino a società industriale conservando alcuni tratti fondamentali del patriarcato. Il mutamento antropologico che stiamo attraversando oggi con le nuove tecnologie mi sembra presentare analogamente le stesse dinamiche. D’altra parte è vero che, seppur a fatica, oggi sembra esserci un grado di consapevolezza diverso su alcuni temi. La possibilità di comunicare in maniera più rapida dovrebbe darci la possibilità, non sempre còlta, di far arrivare dei messaggi di cambiamento in maniera più efficace rispetto al passato e, si spera, a un uditorio sempre più sensibile.

Nella serie si sottolinea come i delitti siano stati eseguiti da “uomini che odiano le donne”. Che fotografia abbiamo dell’Italia?

Un’Italia retrograda, scomoda da raccontare e da riconoscere. È quasi banale dire che questa storia rappresenta uno specchio limpido sul quale può rimirarsi la nostra attualità e ricostruire il proprio albero genealogico. Vedendo la serie mi son reso conto di quanto ci costringa a vedere la cultura dalla quale veniamo, quella mascolinità tossica che in maniera più o meno latente ha pervaso la nostra società e della quale si fa sempre troppo presto a dire di essersene liberati. Anche in questo senso il Mostro potrebbe essere chiunque.

Come è stato lavorare con Sollima e con il cast?

Lavorare con Sollima è stato molto più che collaborare con un grande regista, ho incontrato un maestro potendo spiare da oltre il buco della serratura come prepara le sue magie. La fiducia reciproca costruita sul set mi ha permesso di imparare un nuovo artigianato sotto la sua guida e oltre alla maestria mi ha colpito la sua grande umiltà nel raccontare una storia così complessa, ricostruendo con precisione scientifica ogni singolo passaggio. Il cast è diventato subito una grande squadra insieme alla troupe e questo mi ha permesso di attraversare questa esperienza con serenità, sebbene fossi consapevole della grande responsabilità che questo viaggio comportava.

Avete girato a Firenze e dintorni nel novembre 2023. Come è stato lavorare in Toscana?

Riportare una storia nei luoghi in cui è realmente accaduta è un modo per comprenderla meglio e nello stesso tempo ha un qualcosa di rituale. La realtà ti viene a trovare, nella parlata delle persone che ti circondano, negli alberi che sembrano custodire il segreto di quelle notti maledette. Direi che girare alcune scene in Toscana è stato fondamentale.

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