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Storie /emergenza profughi

Chi sono (e cosa raccontano) le calciatrici afgane accolte a Firenze

La parola che ricorre più spesso è “speranza”. Tra i 116 profughi accolti dalla città metropolitani ci sono anche tre calciatrici della Bastan Fc di Herat e il loro allenatore. E questo è il loro racconto

Firenze ha mantenuto la promessa. Le calciatrici afgane della Bastan Fc di Herat sono state ufficialmente accolte nella città metropolitana. Un destino che, proprio quanto tutto sembrava precipitare e volgere al peggio, era scritto nel loro lasciapassare. Solo un codice di due parole: “Tuscany – Italy”. A raccontarlo è l’allenatore della quadra di calcio femminile che, inutile ricordarlo, ha rappresentato in questi anni il simbolo dell’emancipazione femminile per tutte le donne, soprattutto per quelle afgane.

Com’è stato il viaggio?

Tutto nasce da una domanda che arriva proprio dal sindaco della città, Dario Nardella, che nel Salone dei Duecento di Palazzo Vecchio si è presentato con indosso la felpa rossa e bianca del Bastan Fc. Un gesto per nulla scontato che è stato molto apprezzato dai profughi afgani. “Com’è stato il vostro viaggio verso Kabul?” ha chiesto Nardella. “Molto pericoloso”, ha risposto il mister.

Ha raccontato di un viaggio durato più di 24 ore, che hanno trascorso senza dormire. Un tempo solo apparentemente breve, ma in realtà lunghissimo. Soprattutto quando hai la consapevolezza che ogni gesto o parola sbagliata potrebbe essere fatale. “Abbiamo viaggiato da Herat a Kabul senza far capire a nessuno che stavamo viaggiando” ha proseguito il mister. “Perché se l’avessero scoperto i talebani…”. Una frase che resta in sospeso. Non dice cosa sarebbe accaduto, ma non è difficile immaginarlo. “Non abbiamo fatto capire a nessuno chi eravamo, da dove arrivavamo, né dov’eravamo diretti”. Alla fine, ormai prossimi all’aeroporto, avevano perso le speranze. Poi, quasi inaspettata, è arrivata la telefonata da alcuni “amici italiani”. Sono arrivati, nell’ordine, il codice “Tuscany – Italy”, l’arrivo in aeroporto, la partenza. E quindi anche la salvezza.

“Siamo sportive, facciamo parte della stessa squadra. È un modo come un altro per restare unite”

Ricominciare (studiando)

Ma a raccontarsi, aiutate da un’interprete, sono state soprattutto le ragazze. Sì, perché di ragazze si tratta. Facendo una media approssimativa hanno all’incirca una ventina d’anni. Anche loro, oltre al velo, indossano la felpa del Bastan Fc. “Siamo sportive, è la nostra squadra, non potrebbe essere diversamente. E poi è un modo come un altro per restare unite”. Sono grate all’Italia, alla Toscana e a Firenze che le ha accolte. Ora che dicono di aver ritrovato la speranza, oltre alla loro vita, e vorrebbero riprendere anche gli studi. Alcune studiavano scienze politiche, altre informatica o letteratura inglese. “Vorrà dire che ora studierò letteratura italiana…” dice una delle calciatrice. “L’importante è ricominciare”.

Le ragazze e il mister del Bastan Fc a Firenze

Eh sì, loro possono ricominciare. Ma non si può dire lo stesso delle amiche, delle compagne e delle altre donne rimaste in Afghanistan. Di loro non sanno più nulla, come del resto non sanno niente della vita dei loro familiari. Alcune sono arrivate con qualche parente. Alcune, non tutte. Per questioni di riservatezza e sicurezza non è dato sapere di più. Ed è giusto così.

Il dovere di restituire speranza

Di loro Nardella aveva già parlato in mattinata, intervenendo alla trasmissione “L’aria che tira”, su La7. “Il loro arrivo è stato un momento molto emozionante” ha detto il sindaco. “C’ho parlato. Una cosa è battersi per i diritti fondamentali delle donne in un paese democratico come l’Italia, un’altra cosa è farlo in Afghanistan. Queste ragazze hanno combattuto i pregiudizi dei loro familiari e gli ostacoli fortissimi della politica afgana. Quando i talebani hanno iniziato a bruciare le loro tute e i loro borsoni dicendo che non potevano più fare sport perché le donne non possono svolgere attività sportive, loro hanno capito che le speranze che stavano costruendo in Afghanistan non avevano più sbocco. Noi oggi abbiamo il dovere di ridare loro una speranza”.

La felpa rossa e bianca

E quel dovere si è concretizzando nel momento in cui il primo cittadino ha indossato la felpa bianca e rossa della società. L’allenatore, che le ragazze hanno definito “una guida”, desidererebbe poter aiutare le altre calciatrici a raggiungere le loro compagne in Italia. Certo, non sarà facile. Ma del resto stiamo raccontando una storia di speranza. Quindi perché no? E sempre a proposito di speranza: tra le atlete accolte a Firenze, una è vittima di un’infortunio. “Sono felice di poter essere curata dai bravissimi medici italiani”, ha confessato. “Vorrei tornare a giocare, ma in Afghanistan non sarebbe stato possibile”.

L’appello

“Vorremmo essere un esempio di speranza e di fiducia per chi è là in Afghanistan”

Già, perché in Afghanistan – e in particolar modo a Herat – le donne non hanno lavoro, non hanno diritti, non hanno nulla. Lo dicono le ragazze, lo ribadisce il mister. Forse è anche per questo che alla fine dell’incontro, quando ormai tutti erano proiettati sull’immancabile (e in questo caso preziosa) foto di rito, l’interprete ha detto timidamente al microfono “aspettate un attimo, le ragazze vorrebbero leggere un messaggio”. Ed è andata proprio così. “Vorremmo essere un esempio di speranza e di fiducia per chi è là in Afghanistan” hanno detto. “Auspichiamo di poter vivere in una società libera, attraverso lo sport e al fianco delle nostre compagne di squadra, qua in Italia”.

Se parlerà anche a scuola

Al momento nell’area metropolitana sono ospitate 116 persone. Il progetto di accoglienza, oltre che dalla Città metropolitana, col coordinamento della Prefettura è portato avanti grazie anche all’Istituto universitario europeo e alla Caritas. “Visto che saranno in città fino a quando ce ne sarà bisogno e lo vorranno – ha aggiunto Nardella – abbiamo pensato di organizzare degli incontri nelle scuole di Firenze. I nostri studenti potranno così ascoltare queste ragazze e capire direttamente cosa significa battersi per il proprio paese e per i diritti umani”. Ad accogliere le calciatrici afgane a Palazzo Vecchio c’era anche Renzo Ulivieri, presidente dell’Associazione italiana allenatori di calcio, in rappresentanza della Figc. “I recenti avvenimenti in Afghanistan non hanno lasciato indifferente il calcio italiano” ha detto. “La Figc si occuperà di fornire alle calciatrici di Herat materiale sportivo, aiutare nello studio dell’italiano, di formarle calcisticamente in modo da prepararle ad un tesseramento per una squadra femminile del nostro paese. Il presidente Gravina ha invitato queste ragazze la prossima settimana a Coverciano in occasione del raduno della nazionale femminile“.

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