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Josephine Foster in concerto a Firenze: al Progresso una voce che “scuote l’anima”

Venerdì 20 ottobre al Circolo Arci Il Progresso di Firenze in concerto la voce più bella del folk americano per presentare i brani del suo ultimo disco “Domestic Sphere”

Originaria del Colorado ma spirito nomade, Josephine Foster viaggia tra gli Stati Uniti e la Spagna esibendosi in tutto il mondo.

È una cantautrice, polistrumentista e compositrice la cui “musica gioca con le nostre idee di tempo e spazio”, afferma il Guardian.

Ha pubblicato una ventina di album, cicli di canzoni eseguite da sola o alla guida di vari ensemble, a volte in forma di band: Mendrugo, the Supposed, Born Heller. 

Periferici ma non trascurabili sono i suoi arrangiamenti non ortodossi di Lieder tedeschi del XIX secolo, la raccolta folkloristica di Lorca, o le sue interpretazioni musicali della Dickinson e di altri poeti. La Foster non è solo una musicista ma anche è una poetessa e un’artista visiva.

Se ascoltate Domestic Sphere, il suo ultimo album, vi sembrerà di entrare in una casa stregata dove dolcissime melodie vengono interrotte da rumori sinistri e voci di fantasmi in un viaggio tra passato e presente.

Un disco bellissimo e spaventoso in cui ogni singolo suono conta ed è importante, e come in un film horror il jump scare è sempre in agguato.

Josephine Foster presenterà il suo nuovo lavoro solista “Domestic Sphere” venerdì 20 ottobre al Circolo Arci Il Progresso di Firenze esibendosi con la sua chitarra elettrica.

Josephine Foster

L’intervista

Il tuo ultimo album inizia con il brano “Entrance”. Sentiamo il rumore di passi che salgono le scale, una porta si apre, tu canti con la tua bellissima voce ma vieni interrotta da un gatto che miagola in modo molto inquietante. Anche l’immagine che hai scelto come copertina dell’album sembra tutt’altro che rassicurante. Cosa vuoi dirci Josephine? Forse la “sfera domestica” non è la comfort zone che tutti pensiamo che sia?

Penso che non sia mai stata una zona completamente confortevole! Anzi spesso è il palcoscenico per drammi intimi della vita.

credo che si possa comunicare oltre i limiti del nostro mondo tridimensionale. Anche se non sono del tutto sicura di come funzioni, sento che c’è un’intenzione a cui possiamo accedere

Il tuo ultimo disco è caratterizzato da melodie fragili e delicate che sembrano sempre sul punto di frantumarsi, interrotte da strani suoni di cui non comprendiamo l’origine, un disco abitato da fantasmi che possono apparire in qualsiasi momento quando meno ce lo aspettiamo, sei d’accordo?

Questa è una buona sintesi. Sono spesso nomade, mi è capitato di passare attraverso molte case, spesso come ospite, a volte con un partner, nel corso degli anni. Trascorro quasi ogni giorno a camminare e la maggior parte di queste registrazioni provengono dalla casa in cui mi trovavo in quel momento. Per esempio i gatti, che erano in calore e sono stati registrati dal mio balcone o come il richiamo dell’affilatore di coltelli in Spagna, o gli uccelli dei giardini o dei sentieri vicini. Per questo motivo suonano inquietanti, ma non volevo lasciare gli ascoltatori completamente all’oscuro; se desiderano fare ulteriori ricerche, nelle note dell’album ho chiarito da dove provengono i suoni, le risposte sono tutte lì.

Nel disco c’è anche la voce di tua nonna originaria di Napoli che canta in Remininscence, come mai questa scelta, cosa ci puoi raccontare di lei?

In realtà si tratta della mia bisnonna Filomena, che non ho mai conosciuto.  È immigrata a New York con la sua famiglia da Napoli via Ellis Island all’inizio del ‘900. Tante persone mi hanno chiesto negli anni, da dove viene la tua voce?  Sono così felice di avere questa piccola reliquia di lei che canta una canzone della sua giovinezza, che dimostra la discendenza materna della mia voce e del mio timbro. Sento i riflessi di mia nonna e di mia madre nella sua voce ed è stato meraviglioso condividerla e creare una cornice per essa con la mia.

Nel suo disco ci sono molti suoni diversi che provengono dalla natura e non solo, come ha registrato questi field recordings? Tu stessa imiti il fischio degli uccelli. Come hai lavorato al disco?

Avevo una selezione di registrazioni sul campo provenienti da momenti molto casuali delle mie giornate, nel corso degli anni, molte delle quali di uccelli, suoni notturni, ecc. Mi incuriosiva l’idea di trattare un album come un piccolo museo o serraglio e lasciare che la musica fosse abitata da questi suoni familiari, proprio come lo sono nella mia vita normale. Ad esempio, quando compongo o scrivo, spesso mi siedo all’aperto con la chitarra o al pianoforte con le finestre aperte. E ho pensato: perché dovrebbe esserci una barriera in una registrazione che esplora temi domestici? La collocazione dei suoni all’interno delle canzoni è stata molto intuitiva e ha rivelato innumerevoli “serendipità”, significative per me. La canzone di Filomena, per esempio, si fondeva così bene con la tonalità del brano in cui l’abbiamo “calata”, che persino i cambi di accordi sembravano sincronizzati. Tutto è stato fatto confidando molto nel caso.

Credo che il modo in cui abitiamo i nostri spazi interiori sia lo stesso in cui viviamo all’esterno. Quindi ti chiedo: che cosa c’è nella tua “sfera domestica” che si riflette nella tua vita e nella tua musica?

Se percepisci una fragilità e un’inquietudine, è perché ho vissuto una vita insolitamente instabile. Raramente ho vissuto in un posto per più di un anno, per oltre 30 anni.

Pensi che sia possibile parlare con i morti, che la musica sia un modo per entrare in contatto con loro?

Sì, credo che si possa comunicare oltre i limiti del nostro mondo tridimensionale. Anche se non sono del tutto sicura di come funzioni, sento che c’è un’intenzione a cui possiamo accedere.

Come spesso accade nei film dell’orrore, se si evocano gli spiriti c’è il rischio che non vogliano andarsene, ha vissuto un’esperienza simile? 

Nonostante il mio interesse per gli argomenti esoterici, sono estremamente attenta alla mia mente e ho una forte salute mentale. Così sono attratta verso la luce e la purezza e la bontà, dietro a tutto ciò che è certamente un muro di difficoltà superficiali.

Alla fine del tuo disco, dopo grandi raffiche di vento, sentiamo il crepitio del fuoco e il canto degli uccelli. Dobbiamo allora pensare che tutto è finito bene e che abbiamo superato la notte trascorsa nella casa infestata?

Il crepitio che si sente in quel brano sono i miei stessi passi, che camminano verso un luogo di meditazione che amo, in una grande valle ventilata piena di alberi e uccelli. In realtà non ci sono case lì, ed è per questo che è l’ultimo pezzo del disco, porto l’ascoltatore nel post-esorcismo, senza strutture umane, solo la nuda terra, che è lo stato più pacificante. L’ultima canzone è intitolata “Sanctuary” per questo motivo.

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