Il 14 settembre del 2015 gli scienziati ascoltavano per la prima volta il ‘“cinguettio” dall’Universo: così i ricercatori chiamarono il primo segnale di un’onda gravitazionale, increspature nel “tessuto” dello spazio-tempo, arrivate sulla Terra dopo essere state prodotte da un cataclisma astrofisico avvenuto nell’Universo profondo e previste già da Albert Einstein più di un secolo fa.
Dalla collaborazione tra Virgo e LIGO una scoperta da Nobel
Un risultato straordinario realizzato grazie alla collaborazione tra i due rilevatori di onde gravitazionali: LIGO, negli Stati Uniti, e Virgo, un interferometro laser con due bracci di 3 chilometri che si trova all’interno dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo a Cascina, al quale l’Italia partecipa con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Il primo segnale di un’onda gravitazionale rilevato da Virgo e Ligo proveniva dalla coalescenza di due buchi neri, avvenuta un miliardo di anni fa, e forniva così anche la prima prova diretta dell’esistenza dei buchi neri.
Una scoperta scientifica rivoluzionaria che ha meritato il Nobel per la fisica nel 2017, con il premio ai teorici Rainer Weiss, Barry Barish e Kip Thorne e ha scritto una nuova pagina nella storia della fisica. Un’avventura iniziata in Toscana negli anni Ottanta, quando Adalberto Giazotto e Alain Brillet fondatorono Virgo: per decenni la ricerca delle onde gravitazionali era stata, come disse Giazotto, “la più folle delle imprese”, perché nessuno sapeva se si sarebbero mai trovate.

Si festeggia confermando una teoria di Hawking sui buchi neri
Oggi, dopo 300 segnali gravitazionali e collaborazioni scientifiche internazionali, le onde gravitazioni festeggiano il decennale con due ricerche che confermano un teorema fondamentale proposto da Stephen Hawking, il più celebre teorico dei buchi neri. Entrambe sono pubblicate sulla rivista Physical Review Letters.
I ricercatori hanno potuto ascoltare due buchi neri che crescevano mentre si fondevano in uno solo, grazie sempre ai rilevatori Virgo di Casina, LIGO e Kagra in Giappone. È stato così possibile misurare in modo preciso la vibrazione emessa dopo la fusione. L’evento, osservato con una chiarezza senza precedenti, riguarda una collisione fra due buchi neri con masse da 30 a 40 volte quella del Sole e distanti 1,3 miliardi di anni luce.
I ricercatori hanno potuto determinare che i buchi neri iniziali avevano una superficie totale di 240.000 chilometri quadrati e che l’area finale era di circa 400.000 chilometri quadrati: le misure dimostrato la validità del teorema dell’area dei buchi neri formulato nel 1971 da Hawking, secondo il quale le superfici totali dei buchi neri non possono diminuire. Lo stesso teorema ha contribuito ad aprire la strada alle ricerche sulla gravità quantistica, che punta a unire relatività generale e fisica quantistica. “Se Hawking fosse stato ancora vivo, avrebbe certamente gioito”, ha detto il premio Nobel Kip Thorne, ricordando che subito dopo la scoperta delle onde gravitazionali Hawking gli telefonò per chiedergli se LIGO avrebbe potuto testare il suo teorema.
Dieci anni di ascolto dell’Universo
In dieci anni sono state osservate circa 300 fusioni di buchi neri, alcune delle quali in attesa di ulteriori analisi e nel periodo di osservazione iniziato a giugno 2023 sono stati circa 230 i segnali candidati a essere fusioni di buchi neri: oltre il doppio di quelli rilevati nei primi tre periodi di osservazione. Sono state inoltre rilevate collisioni fra stelle di neutroni, che nell’agosto 2017 hanno dato il via all’astronomia multimessaggera.
“Con tre o più rivelatori che operano all’unisono, possiamo individuare gli eventi cosmici con maggiore precisione” ha spiegato Gianluca Gemme, portavoce di Virgo e dirigente di ricerca dell’Infn. “Le conquiste scientifiche di questi dieci anni stanno innescando una vera e propria rivoluzione nella nostra visione dell’Universo” ha sottolineato il direttore dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo di Cascina Massimo Carpinelli, dell’Università di Milano Bicocca.
Per il futuro uno dei prossimi passi è il progetto europeo Einstein Telescope, che l’Italia si è candidata a ospitare e che prevede di costruire uno o due interferometri sotterranei con bracci lunghi oltre dieci chilometri.