Storie /LA RECENSIONE

Emiliano Gucci, “Con tutto il bene che posso”: una sfida sulle strade della vita

Nel suo ultimo romanzo lo scrittore racconta di un viaggio per ritrovarsi tra Enzo e Daniele, padre e figlio fiorentini. Sullo sfondo di una settimana di asfalto, chilometri da macinare con l’auto e sui pedali delle due ruote, ci sono le persone, la campagna, una vita da ripercorrere a ritroso per poter guardare di nuovo avanti, insieme

Le distanze, quelle che si allargano come crateri, aprendo spazi infiniti nella nostra vita, ci allontanano giorno dopo giorno senza che noi – distratti dal resto – ce ne accorgiamo. Ci facciamo schiacciare dalle abitudini, dal tempo oppresso e già deciso di azioni perpetuate, quasi meccanizzate: il lavoro, la scuola, la tecnologia, il cellulare, la carriera. Poi arriva l’imprevisto a spezzare quell’inutile routine del quotidiano che si dimentica di fare i conti con chi siamo noi davvero.

Un imprevisto che ribalta tutto: uno tsunami, un rimescolio di carte, una baracca vestita da villa che crolla

Nell’ultimo libro edito da Giunti dello scrittore toscano Emiliano Gucci, ‘Con tutto il bene che posso’  ecco che arriva quell’imprevisto a minacciare una vita che pare accomodata, liscia come l’acqua del mare in piena estate senza un alito di vento. E ribalta tutto: uno tsunami, un rimescolio di carte, una baracca vestita da villa che crolla.
Sbaraglia tutto il messaggio di Franca al marito Enzo ed al figlio Daniele. Un messaggio di addio temporaneo o forse per sempre. “Se vuoi che torni a casa sciogli i tuoi nodi”, dice la donna e poi avverte entrambi “se sarete in grado di ricostruire il vostro rapporto bene, altrimenti non mi rivedrete mai più”.

E sul quel “mai più” partono giorni di un viaggio in se stessi nel quale padre e figlio provano a incrociarsi di nuovo, un viaggio che riapre ferite, che rimette in discussione il proprio io e le persone che ci girano intorno. Una difesa a tre che gioca sulla stessa linea ma non si parla, il campo dove giocano è lo stesso, la maglia che indossano, lo spogliatoio che condividono ma sull’erba, ognuno scrive la sua parte in solitaria.

Franca la mediatrice porta via il pallone e trafigge impietosa e innamorata i suoi compagni di vita per salvarli, per metterli di fronte ai propri conti in sospeso. Daniele con le ragazze, con gli amici, con un compagno di scuola bullizzato. Enzo ha invece permesso al lavoro di occupare troppo spazio nella sua vita,  alienando il resto.

Gucci ci prende per mano e ci conduce insieme ai personaggi nei luoghi che cambiano registro

Vite solitarie, gomme che non fanno più attrito sull’asfalto. E’ così che si scollano i sentimenti quando condividiamo gli spazi e lasciamo indietro il contatto, la parola, uno sguardo, il ricordo. Perché anche il ricordo svetta potente in questo romanzo di Emiliano Gucci, in un andirivieni tra presente e passato. Strade percorse e ripercorse in avanti ed a ritroso, per ritrovare il bivio giusto verso la nuova via, il sentiero atteso. Ci si perde in un labirinto di situazioni: le donne amate, quelle che ami, la musica, i libri e poi Sanzio, il burbero fratello di Enzo, meraviglioso come la campagna nella quale ha scelto di vivere. Gucci ci prende per mano e ci conduce insieme ai personaggi nei luoghi che cambiano registro: Enzo è cresciuto tra i libri, sono il suo lavoro, la sua vita e la sua rassegnazione. Scaffali con migliaia di titoli che oggi si accompagnano a cartoline, agende, zaini, gadget. Ci hanno raccontano che questo è l’unico modo per farle sopravvivere le librerie, che devi seguire il mercato se non vuoi soccombere.

Ed è così anche fuori dal regno delle parole e delle storie. In una Firenze di fondi sfitti, money transfer al posto dei fruttivendoli, i kebabbari che hanno rimpiazzato le pizzicherie, le lavanderie a gettone dove un tempo si spendevano soldi ricevendo un saluto. Malinconia? No. “Con tutto il bene che posso” è un viaggio verso il futuro, ma non quello imposto dal cambiamento non governato fino in fondo, piuttosto nell’esigenza di ricostruire la propria vita, dettando le regole. Leggere il contesto, aprire gli occhi, osservare, ascoltare. Guardare in alto. Lanciarsi in avanti.

In campagna la vita selvaggia ti insegna ogni giorno una storia nuova.

Guardare oltre ciò che che l’oggi ti ha obbligato a vedere. Ci hanno raccontano che anche la tecnologia è un bene, ti migliora la vita. E pure le auto intelligenti, il cellulare che semplifica la comunicazione, quell’estrattore di succo che ogni mattina ti regala una pozione magica di benessere assicurato. Sedano, carota, mela e sei sicuro che la tua vita sarà migliore. Un rito perpetuato anche nella famiglia di Enzo, Daniele, Franca. E invece da zio Sanzio, in campagna, la vita selvaggia ti insegna ogni giorno una storia nuova.
Daniele è affascinato da quel mondo ancora non plasmato e annichilito, ancora così sincero. Sarà per questo che non ama le autostrade che rendono tutto bidimensionale. L’autostrada ammazza la geografia, dice il ragazzo sull’orlo dei suoi quasi 18 anni. Toglie l’anima ai luoghi.

 

Con tutto il bene che posso’ insegna a corrersi dentro, scavare, ripercorrere le strade che avevi lasciato in sospeso, con il coraggio che serve per proseguire con passi nuovi

Ed è così che quel messaggio di Franca irrompe come un baratro improvviso nella loro vita anch’essa schiacciata come il rettilineo dell’autostrada, una vita attaccata a 10 centimetri di plastica di un cellulare che loro stessi sfiorano ogni giorno, centinaia di volte, scordando di abbracciarsi. Un viaggio quello di Enzo e Daniele che li porterà a incrociare ex compagni di classe, opere d’arte, curve e polvere. Saliranno su una bicicletta per sentire la fatica, per spingere sui pedali fino a perdere il respiro. Pedaleranno in salita e non si fermeranno nemmeno quando le gambe non reggeranno più. Questo insegna ‘Con tutto il bene che posso’, a corrersi dentro, scavare, far girare le ruote con tutta l’energia che hai addosso, ripercorrere le strade che avevi lasciato in sospeso, con il coraggio che serve per proseguire con passi nuovi. E’ un viaggio dentro il proprio intimo che non può fare a meno di un compagno, una compagna, della propria famiglia, degli altri.

Altro non siamo che un’infinita somma di contaminazioni e di incontri, di vite che si incastrano una con l’altra, una somma di persone che ne fanno una. Come le colline, là fuori. Come le radici che si stringono in un abbraccio sottoterra. Quei cipressi, stretti uno all’altro. Quelle ruote che macinano asfalto per riprendersi il tempo perduto. Insieme.

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