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Giulia Sarno l’etnomusicologa che va allo stadio per studiare i cori della curva Fiesole

È uscito nel primo numero della rivista “Acusfere” l'articolo “Noi si fa i cori: note dalla curva Fiesole sulle pratiche musicali del tifo organizzato” un’indagine etnografica sulle pratiche musicali legate al calcio

Fiorentina-Atalanta Serie A 23a giornata - © Federico De Luca (@federicodeluca1971), per gentile concessione a Giulia Sarno

“Sai chi è quel giocatore che gioca a calcio meglio di Pelè: Baggio, Roberto Baggio, Roberto Baggio, Roberto Baggio…” Non esiste persona nata in Toscana che non abbia cantato questa canzone almeno una volta nella vita.

Si tratta di uno dei tanti cori da stadio nati in curva Fiesole sede storica della tifoseria viola, che come accade per le melodie ben congegnate è uscito dallo stadio trasformandosi in un pezzo di cultura popolare.

C’è chi addirittura ha fatto dei cori da stadio materia di ricerca universitaria, stiamo parlando della etnomusicologa Giulia Sarno assegnista di ricerca e docente di Forme e pratiche della popular music dell’Università di Firenze che è (non a caso) anche tifosa della Fiorentina.

Giulia abituale frequentatrice della curva Fiesole a partire dal 2019 si è recata allo stadio non solo nel ruolo di tifosa, ma anche in quello di osservatrice, scrivendo poi un articolo pubblicato nel primo numero di “Acusfere”, una nuova rivista accademica diretta da Maurizio Agamennone (Università di Firenze) e Vincenzo Caporaletti (Università di Macerata) e pubblicata da LIM.

Lo studio “Noi si fa i cori: note dalla curva Fiesole sulle pratiche musicali del tifo organizzato” è di fatto la prima indagine etnografica sulle pratiche musicali legate al calcio realizzata allo Stadio Artemio Franchi di Firenze ed è nata all’interno del progetto di ricerca triennale “Come suona la Toscana” del Dipartimento SAGAS di Unifi. 

“Ho cominciato a frequentare sistematicamente la curva Fiesole da tifosa della Fiorentina di recente, – spiega Giulia Sarno – acquistando un abbonamento per la stagione 2019-2020. Ho effettuato le prime registrazioni audio in occasione della partita Fiorentina- Napoli del 24 agosto 2019. Dopo aver stabilito i primi contatti con alcuni esponenti dei gruppi del tifo organizzato, ho potuto collocare il mio punto di osservazione nella zona centrale della curva, riservata ai membri dei gruppi. La chiusura degli stadi al pubblico conseguente all’esplosione della pandemia da Covid-19 ha determinato un arresto all’osservazione. L’ultima partita disputata a porte aperte al Franchi è stata Fiorentina-Milan il 22 febbraio 2020: in questa occasione ho potuto collocarmi in una posizione privilegiata, a pochissima distanza dal “palo” su cui sale il lanciacori per coordinare la performance musicale della curva, potendo dunque osservarne attentamente l’azione. Ho avviato nuovamente l’osservazione in loco alla riapertura degli stadi, nell’agosto del 2021.”

C’è differenza tra il tifoso che va a vedere il calcio e il tifoso che va a tifare, entrambe sono forme di supporto alla squadra ma sono due attività completamente diverse

Tu hai conosciuto Andrea Chelazzi il “lanciacori” della curva Fiesole, puoi spiegarci chi è e cosa fa?

La cosa che mi ha fatto venire la curiosità che poi ha generato la mia ricerca è stato proprio vedere il lanciacori in azione. Al punto che una mia futura ricerca sarà dedicata a lui e la sua carriera. Innanzi tutto il lanciacori dà le spalle al campo, è una figura che all’interno del gruppo ultras è tra le persone più di spicco, ma non guarda la partita, questo mi ha fatto subito capire che stava succedendo qualcosa di particolare. Ho iniziato un lavoro insieme ad Andrea Chelazzi, sono stata molto fortunata perchè si tratta di una persona intelligentissima, con una passione per la musica strabiliante e attenta e desiderosa di ragionare insieme su queste tematiche. Si diventa lanciacori perchè viene riconosciuta una certa predisposizione, intraprendenza e capacità di tenere insieme il gruppo. Non è facile quando hai davanti centinaia di persone che devono rimanere concentrate a cantare anche quando durante la partita sta succedendo qualcosa che al tifoso normale viene voglia di commentare. Il lanciacori deve far sì che la curva continui a cantare qualsiasi cosa succeda in campo. La curva deve fare la sua performance e il lanciacori deve essere bravo a non far sfilacciare l’attenzione. Se non è capace di farlo il lanciacori dura poco, viene sostituito.

Mi sono sempre chiesta come nascono i cori del tifo? Cioè chi li inventa praticamente?

Nella mia ricerca ho visto che ci sono casistiche diverse. I cori possono nascere da situazioni goliardiche spontanee di condivisione e socialità oppure per iniziativa individuale spesso da parte dei lanciacori che poi lo condividono con gli altri anche attraverso WhatsApp. A breve uscirà un altro mio articolo su un coro della Fiesole “Bombe nell’aria” cantato sulle note di “Freed from desire” di Gala che è diventato un vero e proprio tormentone. Ho scoperto che questo coro è nato a una festa della curva Fiesole, lo ha inventato un ultras di un’altra squadra gemellata con la Fiorentina, che era venuto alla festa da Catanzaro. Mentre questa canzone veniva suonata da una cover band lui ha improvvisato questo coro. Questo per farti capire che la casistica della nascita di un coro può essere molto ampia.

I cori sono una cosa veramente magica, nascono per ispirazione momentanea, poi escono dallo stadio e diventano una cosa di tutti. Pensa che io che non sono tifosa, mai stata allo stadio mi ricordo ancora i cori dedicati a Roberto Baggio. Nel tuo articolo tu racconti che i tifosi hanno anche la convinzione che i cori riescano a modificare l’azione in campo, come una vera e propria magia, è così?

Questa è una convinzione di tutte le tifoserie che io conosco e non solo. C’è l’idea che il tifo o il coro cioè la performance musicale portata avanti con convinzione dai tifosi possa determinare le sorti della partita. È scientificamente provato che non è così, non è vero, ma è vero nel momento in cui ci si crede, come per la magia. Se tu ci credi, l’effetto si produce, il giocatore si sente galvanizzato, l’allenatore si sente confermato e il tifoso ha un suo ruolo, che poi determini o meno il risultato della partita è irrilevante, l’importante è partecipare non in modo passivo.

Tu dici anche che i cori hanno vari interlocutori, cioè il messaggio che un coro manda può essere rivolto ai giocatori, alla squadra avversaria, alle forze dell’ordine, ai dirigenti della squadra di calcio

I cori si possono distinguere fondamentalmente in due tipi: cori “contro” o cori “per”. Da una parte ci sono i cori di sostegno per la squadra, per la città, per se stessi come gruppo. Dall’altra i cori “contro” cioè i cori che infamano i giocatori nel tentativo di distrarli, i cori rivolti alla tifoseria avversaria offendendola spesso con quella che viene definita una “discriminazione territoriale”. I cori contro sono quelli su cui si appunta spesso la curiosità un po’ morbosa dei media che affermano che il coro sia solo veicolo di odio, quando invece è una forma di espressione molto più complessa, ampia e articolata.

Il tifo italiano rappresenta un modello che si è diffuso in tutto il mondo. In questo modello, a differenza per esempio di quello inglese, si costruisce una performance compatta che viene portata avanti dall’inizio alla fine della partita da un gruppo di persone specifico per 90 minuti

Nelle incredibili conclusioni del tuo articolo tu affermi che la partita e l’esecuzione dei cori sono due performance nettamente distinte. Fare il tifo, tu scrivi, si sgancia dall’oggetto del tifo stesso. Per gli ultras cioè non è importante quello che succede in campo, sono loro al centro dell’azione, sono loro i protagonisti della partita. La partita è di fatto solo un pretesto per i cori.

È chiaro che effettivamente la partita diventa un pretesto per la socialità, una socialità che si esprime attraverso modi performativi e musicali per cui sì, è un paradosso. Ci sono dei cori che dicono: non siamo venuti qua a vedere la partita, della partita non ce ne frega niente, siamo venuti qua per cantare. Si tratta proprio di una consapevolezza che circola nei testi dei cori. C’è differenza tra il tifoso che va a vedere la partita e il tifoso che va a tifare, entrambe sono forma di supporto alla squadra ma sono due attività completamente diverse. Per gli ultras, o almeno per alcuni di quelli che ho conosciuto, il calcio è “quasi” un pretesto per stare insieme con il proprio gruppo. Andrea Chelazzi lo dice “Noi si fa i cori” è questo che li definisce, insieme a tante altre cose. Io non conosco altre realtà con gruppi di persone che si trovano la sera anche fuori dallo stadio per cantare e inventare cori. Gli ultras si trovano insieme e creano la loro musica. Il tifo italiano rappresenta un modello di tifo organizzato che si è diffuso in tutto il mondo. In questo modello, a differenza per esempio di quello inglese, si costruisce una performance compatta che viene portata avanti dall’inizio alla fine della partita da un gruppo di persone specifico. In inghilterra chiunque può lanciare un coro e magari si unisce tutto lo stadio, ma poi c’è silenzio, non c’è cioè l’idea di una performance compatta che dura 90 minuti

Lo stesso Andrea Chelazzi che è uno dei tuoi interlocutori privilegiati dice “la partita siamo noi”. Un’altra cosa affascinante è che in realtà i cori non esisterebbero senza un pubblico. Cioè l’ultras canta anche per essere ascoltato

Esattamente, questo è stato un po’ un “plot-twist” nella mia ricerca. Dopo aver scritto che fare i cori è una cosa che riguarda un gruppo di persone e uno specifico modo di stare insieme, in realtà affermo che tutto ciò non esisterebbe in queste forme se non ci fosse un pubblico, un “altro dal gruppo”, un qualcuno a cui ci si rivolge in modi differenziati.

L’articolo di Giulia Sarno sulla rivista Acusfere può essere acquistato online qua: https://www.lim.it/it/acusfere/6411-acusfere-9788855431521.html

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