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L’occhio di vetro, il nuovo film del regista fiorentino Duccio Chiarini, tra storia e sentimenti

Il regista nel documentario racconta, con stupore e sgomento, la scoperta dell’adesione al fascismo di suo bisnonno. Il film sarà proiettato, in anteprima, nel corso del 61esimo Festival dei Popoli

Jack Goes Boating

“Non ricordo esattamente il giorno in cui, bambino, venni a sapere che i miei nonni materni erano stati fascisti; né tantomeno ricordo come venni a saperlo, ma ricordo perfettamente il giorno in cui, ormai adolescente, mi resi conto di quello che ciò significava. Quel giorno la parola fascismo uscì dai libri di scuola e si frappose come nebbia tra me e le persone più amate, rendendo improvvisamente torbido tutto ciò che per anni era stato cristallino”.

Con queste parole inizia il documentario di Duccio Chiarini, L’occhio di vetro, in programma al Festival dei Popoli, 61esima edizione, che si svolgerà interamente online, dal 15 al 22 novembre, sulla piattaforma Più Compagnia. Il regista fiorentino prosegue il lavoro di indagine e introspezione nei propri ricordi, nelle proprie radici, nel quale rimane centrale il rapporto sentimentale e di trasmissione generazionale con la sua famiglia, già affrontato nel film Hit the road nonna e per certi versi anche in Short Skin.

Nel documentario Duccio Chiarini porta lo spettatore a ripercorrere la storia d’Italia, a partire dalla prima guerra mondiale, fino ai giorni nostri, così come è stata vissuta dai suoi nonni e lontani parenti, dei quali non sospettava-  e scopre con stupore e sgomento – la totale adesione al fascismo. Una storia raccontata a partire dal bisnonno Giuseppe, arruolatosi volontario nel primo conflitto bellico, passando per la sua delusione, insieme agli altri “figli della patria”, per la cosiddetta “vittoria mutilata” dell’Italia al tavolo dei trattati di pace, alla sua voglia di riscatto che trova soddisfazione nelle fila dei nascenti fasci di combattimento e nella marcia su Roma.

Dei tre figli nati da Giuseppe e da sua moglie Ida – Liliana, la nonna del regista, Maria Grazia e Ferruccio – due aderiscono a loro volta al fascismo, mentre una, la ribelle Maria Grazia, sposa Giorgio Piovano, professore, attivista comunista, che diventerà poi, nel dopoguerra, scrittore di successo e senatore eletto nelle fila del Pci. É proprio a casa di Maria Grazia e Giorgio che gli irriducibili Ferruccio (giovanissimo in quegli anni) e Giovanni, marito della nonna Liliana, insieme ai propri congiunti, troveranno accoglienza e un luogo nel quale rifugiarsi, una volta caduto il fascismo e sconfitta la Repubblica di Salò, alla quale avevano aderito.

Il film di Duccio Chiarini è un documentario appassionante che sa trovare un giusto equilibrio tra i sentimenti personali descritti e il quadro storico narrato. E’ un caleidoscopio su un periodo travagliato della storia italiana, emblema delle vicende di migliaia di persone che avevano aderito e creduto agli orizzonti di gloria promessi dal fascismo; è la descrizione dei destini di quel mare di persone consenzienti, fotografato nelle piazze gremite e inneggianti; di quella massa omologata dalle camicie nere, che aveva al suo interno tante anime, di sincero patriottismo, ma anche di cruda violenza, prepotenza, ottusità, razzismo. E’ il racconto di storie di ragazzi che avevano creduto ciecamente in un ideale, non vedendone i lati oscuri, e insieme ad esso erano andati verso il baratro della violenza e della guerra. Ma il documentario è anche la dimostrazione di come i sentimenti familiari possano a superare gli steccati delle ideologie e alla fine della guerra, la piccola casa di Giorgio e Maria Grazia aveva accolto tutti: perché l’affetto tra fratelli, nipoti, zii, non era mai stato scalfito dagli eventi. Un film che ha ritmo e tiene con il fiato sospeso, con una notevole colonna sonora che ne sottolinea la poeticità.

L’argomento è complesso e migliaia di pagine sono state scritte sulle motivazioni dell’affermazione del fascismo in Italia, ed era impossibile, per Duccio Chiarini, affrontare nel suo film, in modo rigoroso, una ricostruzione storica. Si segue quindi il filo dei sentimenti che viene riannodato, secondo una narrazione dei fatti un po’ sommaria – che non tiene conto dei tanti fattori: economici, geopolitici, delle contrapposte ideologie del Novecento, che portarono all’affermazione del fascismo – ma sulla quale si chiude un occhio, perché è delle motivazioni del bisnonno Giuseppe che nel film si parla.

Quel bisnonno che aveva perso un occhio nella prima guerra mondiale da giovanissimo e aveva vissuto per il resto della vita con un occhio di vetro, dando un tributo altissimo alla patria, che aveva fatto la marcia su Roma, che era diventato fascista e poi Repubblichino, ma che aveva saputo amare i suoi figli e nipoti ed era stato il padre della “Danda”, l’amatissima nonna del regista, vissuta alle porte di Pisa in una dolce casa in campagna dove Duccio Chiarini aveva imparato a camminare, che di quelle oscure pagine di storia era stata una inconsapevole protagonista.

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