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Tommy Kuti, il rapper afro-italiano: le mie canzoni contro il razzismo

Sarà in concerto in streaming dalla sala Vanni di Firenze venerdì 26 febbraio all’interno del cartellone di eventi per il Black History Month Florence

In occasione del Black History Month Florence (la rete nata per promuovere le cultura afro-discendenti in Italia) Musicus Concentus celebra la musica black con “E il Clamore È Divenuto Voce”: un calendario di concerti in streaming pensati per far conoscere le “voci nere” nel panorama musicale italiano. L’ultimo appuntamento della rassegna si terrà il 26 febbraio alle 21.15 con il concerto di Tommy Kuti che andrà in onda in streaming sui canali social del Musicus Concentus e del Black History Month Florence.

Tolulope Olabode Kuti è il vero nome di Tommy Kuti il rapper afro italiano cresciuto a Castiglione delle Stiviere in provincia di Mantova e che ha conquistato anche Fabri Fibra. Classe 1989, nato in Nigeria ma arrivato in Italia a due anni, il giovane rapper ha saputo inserirsi perfettamente nel panorama musicale contemporaneo grazie al suo talento, alla sua carismatica personalità e alla sua risata contagiosa.

Dopo aver conseguito la laurea a Cambridge in Scienze della comunicazione Tommy ha scelto di fare ritorno in Italia e di dedicarsi alla sua passione: la musica. Le sue canzoni raccontano la sua storia, è un rap dall’alto contenuto sociale che tratta temi come il razzismo e l’integrazione, sempre con grande autoironia. #AFROITALIANO è la sua prima canzone dopo la firma del contratto con la major Universal per il disco “Italiano vero”, che vede anche una collaborazione con Fabri Fibra nel brano “Su le mani”. Per non farsi mancare nulla Tommy ha partecipato nel 2018 a Pechino Express e nel 2019 ha pubblicato il libro “Ci rido sopra. Crescere con la pelle nera nell’Italia di Salvini” con Rizzoli. Con la sua musica vuole far capire che si può viaggiare nel mondo senza lasciare la propria città, basta essere curiosi e avere l’apertura mentale per conoscere persone anche molto diverse da noi

Ecco la nostra intervista

Ciao Tommy! Nella trasmissione “Radici” realizzata dalla Rai hai raccontato che quando eri piccolo eri l’unico bambino di colore della scuola e i tuoi coetanei ti prendevano in giro, ti chiamavano “negro”. Com’è cambiata l’Italia da allora?

Per certi aspetti in peggio! Ti spiego, paradossalmente quando mio papà è arrivato in Italia nell’89 a 21 anni aveva sotto un certo punto di vista più possibilità di realizzarsi. Prima di tutto c’era ancora la lira e non l’euro. Si poteva ancora sognare in Italia, aprire aziende, imprese. Molti ragazzi della mia generazione non hanno avuto modo di realizzarsi autonomamente, sognare di avere una propria attività. Ma oltre a quello c’è anche un discorso, il fatto che nei primi anni ’90 non c’era lo stigma negativo legato all’immigrazione che è stato poi creato dopo. Magari la gente poteva avere dubbi e paura per qualcosa che non conosceva. Non è come adesso che la gente ha paura per qualcosa che conosce dalla tv che ha fatto terrorismo psicologico per 15-20 anni. Da quel punto di vista le cose sono cambiate. Quando ero piccolo mi prendevano in giro perchè ero il primo bambino nero a scuola, era gente che non sapeva chi io fossi. Ora subiamo il razzismo da gente che sa benissimo chi siamo e che ci odia.

Da cosa nasce questo terrorismo psicologico secondo te?

In Italia i telegiornali generalmente tendono a spaventare. Si tende sempre a sensazionalizzare le notizie quindi l’immigrazione italiana è sempre stata esagerata, non c’è mai stata una narrazione diversa, è raro che sia fatta una narrazione per generare empatia. Quanti sono i programmi televisivi in Italia che creano empatia con gli stranieri? Sono davvero pochi. Vorrei anche aggiungere che io sono stufo di persone come Fazio e Saviano che magari fanno campagna pro-immigrazione però sono sempre loro a parlare in prima persona. É come il mansplaining per le donne, non si può parlare di immigrazione quando a parlarne sono solo persone bianche.

Quando ero piccolo mi prendevano in giro perchè ero il primo bambino nero a scuola, era gente che non sapeva chi io fossi. Ora subiamo il razzismo da gente che sa benissimo chi siamo e che ci odia

Sono d’accordissimo, bisogna come dicono in America “passare il microfono” cioè io non posso parlare di razzismo se da bianca quale sono non l’ho vissuto in prima persona, è inutile che io ne parli

Non sai quanto spesso per parlare in televisione di immigrazione chiamano magari il “professorone” bianco. Per quanto possano essere brave persone come Fazio e Saviano, è tristissimo. Io sono contento dei piccoli traguardi e successi che ho ottenuto, ho fatto canzoni come “Afroitaliano” che sono diventate colonne sonore importanti per i ragazzi di seconda generazione, però nessuno nella tv generalista ha mai pensato di invitarmi.

Passando a parlare della musica, tu sei discendente del grandissimo Fela Kuti. ma quando hai iniziato ad ascoltare musica ascoltavi il rap italiano o quello americano?

Era un mix delle due cose, io vengo da un quartiere dove c’erano già ragazzi immigrati più grandi che ascoltavano il rap americano, nelle nostre feste di paese c’erano i dischi di Tupac. Poi mi sono appassionato al rap italiano. In realtà la storia è questa: all’inizio volevo inventare io il rap italiano, ma poi ho scoperto persone come Fabri Fibra, Mondo Marcio che già facevano rap.

Mi ha colpito tantissimo una frase di una tua canzone in cui dici che la prima volta che hai detto “Ti amo” l’hai detto in italiano, è vero?

Certo sono cresciuto qua, la mia prima ragazza era una ragazza italiana. Tra l’altro quella frase è una di quelle che generano più empatia in assoluto. Quando sono ai concerti e dico quella frase sembra che arrivi un colpo al cuore alle persone, vedo che scende una lacrima, è sempre bello.

Mi ha fatto morire dal ridere un video che hai realizzato con Le Coliche che si intitola “Quando scopri di essere nero”. Il video è geniale perchè parla di clichè razzisti facendo ridere quindi il messaggio arriva prima che facendo tanti discorsi seri

Ma infatti posso dire con un po’ di arroganza che, per quanto molti intellettuali e attivisti ce l’abbiano con me per il mio modo di essere, però il mio modo di comunicare è sempre stato molto più efficace di quello di mille attivisti. Io quando giro per il mio paese la gente mi ama anche se sono leghisti o di estrema destra. Mi amano perchè conoscono la mia storia. Saper giocare con l’ironia credo che sia molto importante soprattutto in Italia.

Hai fatto l’università a Cambridge in Inghilterra, ci sono delle differenze con l’Italia oppure il razzismo è uguale dappertutto?

Chiaramente il razzismo c’è in tutti i paesi. Ma negli altri paesi le istituzioni, lo stato hanno realizzato che il razzismo è un problema e fanno qualcosa a riguardo. Invece in Italia si afferma il discorso “non è così grave”, è come un mansplaining dell’uomo bianco. Per noi è doppiamente fastidioso parlare di certe cose quando hai degli interlocutori che si esprimono su cose che non hanno vissuto sulla propria pelle.

Qual è la condizione delle persone di colore in Italia adesso?

Se devo essere sincero, io abito a Castiglione delle Stiviere in questa zona che è a cavallo del mantovano e del bresciano. Questa zona negli anni ’90 ha subito una forte immigrazione perchè c’erano molte aziende. Ma da quando c’è stata la crisi economica il 99% della mia comunità, quella nigeriana, si è trasferita in Inghilterra. Quando dico il 99% intendo proprio il 99%. I miei amici d’infanzia non abitano più qua, con i loro fratelli, sorelle e genitori se ne sono andati in UK oppure in Germania. E perchè se ne sono andati? Perchè l’Italia non era in grado di offrirgli possibilità lavorative e a livello di integrazione. Quando devi aspettare 19 anni per avere la cittadinanza nel paese dove sei nato e vissuto e poi la ottieni dici: sai cosa ciao! Me ne vado dove la gente mi accetta.

Il 26 vedremo il live che hai registrato qui a Firenze in sala Vanni, com’è andata?

Questo live è una delle cose più strane che io abbia mai fatto nella mia vita, perchè non c’era un pubblico. Non mi era mai capitato di fare un concerto senza pubblico. Infatti chi lo guarda noterà che nelle prime canzoni ero un po’ emozionato, mi sentivo spaesato e un paio di volte ho fatto degli errori. Ho avuto la possibilità di toglierli ma ho deciso di tenerli perchè ho realizzato che la gente deve vedere l’umanità di questa cosa. Inizialmente ero veramente spaesato però poi dopo la terza e quarta canzone ha cominciato a prendermi bene. Questo live mi ha insegnato a ricordarmi che io faccio musica perchè amo la musica, amo stare sul palco e amo divertirmi mentre canto le canzoni, genuinamente. Ero spettatore di me stesso.

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