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Torna a Palazzo Pitti dopo il successo della mostra romana il Leone X di Raffaello

Le analisi diagnostiche effettuate all'Opificio delle Pietre Dure durante il restauro del dipinto hanno provato che le figure dei cardinali che affiancano Leone X non furono aggiunte in un secondo momento, ma sono autografe dell’artista urbinate

Dopo lo straordinario successo a Roma per la grande esposizione alle Scuderie del Quirinale che celebrava i 500 anni dalla morte di Raffaello, il Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi del genio di Urbino rientra finalmente a casa, alle Gallerie degli Uffizi. A questo capolavoro è infatti dedicata una mostra nella sala delle Nicchie della Galleria Palatina di Palazzo Pitti (dal 27 ottobre 2020 al 31 gennaio 2021). L’allestimento servirà anche per documentare e spiegare il complesso restauro e le numerose analisi scientifiche effettuate sull’opera, ora di nuovo completamente godibile in tutto il suo splendore.

La storia del dipinto

Il dipinto di Raffaello giunse a Firenze ai primi di settembre del 1518, in tempo per i festeggiamenti nuziali del nipote di Leone X, Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, con Madeleine de la Tour d’Auvergne. Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, è raffigurato di tre quarti, ha in mano la lente cerchiata d’oro data la miopia che lo contraddistingueva. Raffaello gli mette davanti, aperta, una ricchissima Bibbia, capolavoro della produzione libraria del Trecento a Napoli, illustrato per la regina Giovanna I dal più importante miniatore della corte angioina, Cristoforo Orimina. Il volume sul tavolo davanti al papa è un codice miniato, un oggetto prezioso, da collezionista, che gli studiosi identificano in un libro ancora esistente, una lussuosissima Bibbia conservata oggi al Kupferstichkabinett di Berlino, e già appartenuta a una nota raccolta privata, quella del Duca di Hamilton. L’autore della decorazione è il miniatore Cristoforo Orimina che, assieme ai suoi aiuti e collaboratori, deteneva nella città campana la più importante bottega miniatoria, aggiornata sulle tendenze pittoriche più recenti ed elevate, come quella di Giotto. Forse scelto in funzione dinastica e politica filofrancese in occasione del matrimonio tra il nipote del papa, Lorenzo, e Maddalena de la Tour d’Auvergne, il codice è aperto sul principio del Vangelo di Giovanni.

“Con questi oggetti meravigliosi – ha spiegato il direttore degli Uffizi Eike Schmidt – Raffaello celebra, insieme alla carica suprema del personaggio, anche il gusto raffinatissimo e la cultura di un membro di casa Medici, un intellettuale educato e cresciuto tra le collezioni d’arte più celebri del tempo, degno figlio di Lorenzo il Magnifico.”

Il restauro

Il restauro che ha permesso di recuperare la lussuosa ricchezza cromatica dei dominanti toni rossi e nella straordinaria varietà dei dettagli è stato realizzato dagli specialisti dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze sotto la supervisione del soprintendente Marco Ciatti e con la direzione di Cecilia Frosinini. L’intervento, iniziato nell’autunno 2017, si era reso necessario per la presenza di numerosi piccoli, pericolosi sollevamenti degli strati pittorici originari, collocati in un’area del dipinto caratterizzata da numerose creste di colore malamente schiacciate e frantumate durante antichi restauri e causati principalmente dalla compressione di forze contrastanti che le traverse ottocentesche scaricavano sulla superficie pittorica. Il certosino lavoro effettuato ha restituito al dipinto la sua originaria e amplissima gamma di sfumature del colore, la perfezione del dettaglio impressa dalla mano di Raffaello agli abiti, alle stoffe ed agli oggetti presenti nell’opera. Ha permesso anche un recupero della spazialità dell’ambientazione architettonica, che prima risultava quasi totalmente appiattita. Anche il supporto ligneo, che iniziava a mostrare alcune rigidità, è stato restaurato e il sistema di traversatura è stato reso reso più ‘flessibile’ ad assecondare i naturali movimenti del legno.

Cos’è stato scoperto con le indagini diagnostiche?

Nonostante nel tempo fossero state avanzate ipotesi da parte di vari studiosi circa una diversa pianificazione iniziale del dipinto, che avrebbe previsto il solo ritratto di Leone X, cui solo successivamente sarebbero state aggiunte, ad altra mano, le figure dei due cardinali, è oggi possibile smentire in modo definitivo questa ricostruzione. La fitta rete di incisioni che costruiscono preliminarmente l’architettura di sfondo e poi la stessa stesura pittorica di esso, infatti, scontornano in maniera precisa le tre figure, risparmiandone l’area di pertinenza. Questo significa che quindi erano già dipinte o almeno già impostate a livello di disegno preparatorio. Per questo, poi, come mostra anche la riflettografia, Raffaello utilizza due tipologie diverse di underdrawing, ricavato da schizzi certo eseguiti separatamente ai tre prelati quando questi avevano posato per lui. Dagli schizzi egli ricava cartoni “a spolvero”, da utilizzare per la trasposizione sul dipinto, ma, in maniera molto dettagliata, rinforza e rielabora con tratti a mano libera e forse anche con il modello davanti, proprio quello del papa, per conferire al suo ritratto maggior vivezza e naturalezza.

 

 

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