Sono passati cinquant’anni dall’uscita di Amici miei, ma le avventure dei cinque amici scapestrati, il Necchi, il Perozzi, il Melandri, il Sassaroli e il Mascetti, restano scolpite nell’immaginario collettivo.
Crudeli e irresistibili, fatte di beffe geniali e di una comicità amara, le loro “zingarate” incarnano lo spirito dissacrante con cui Monicelli e Germi hanno raccontato l’Italia, con la voglia di ridere per non arrendersi alla malinconia della vita.
La celebre trilogia comprende: Amici miei (1975, regia di Mario Monicelli), Amici miei Atto II (1982, regia di Mario Monicelli) e Amici Miei Atto III (1985, regia di Nanny Loi).
Dalla più celebre alla più spietata, ecco le cinque zingarate entrate nella leggenda del cinema italiano, portate sul grande schermo da Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Duilio Del Prete.
1-La supercazzola di Mascetti al vigile (Amici miei, 1975)
La mitica “supercazzola” inventata da Mascetti è diventata subito leggenda. Difficile spiegarla: è una falsa frase altisonante, priva di senso, che mescola parole raffinate, termini inventati in un tono serissimo. L’effetto comico nasce dal disorientare l’interlocutore, che non osa chiedere spiegazioni per non sembrare ignorante. “Come se fosse Antani con lo scappellamento a destra”.
2-Gli schiaffi al treno (Amici miei, 1975)
Alla stazione di Firenze Santa Maria Novella, i cinque amici si dispongono sul marciapiede mentre un treno parte lentamente e danno uno schiaffo in faccia a ogni passeggero che si sporge dal finestrino per salutare. La scena, surreale e crudele, è rimasta una delle gag più celebri e simboliche del loro spirito goliardico. Una delle scene più iconiche del cinema italiano.
3-Imbucati alla festa (Amici miei, 1975)
Nel primo Amici miei, gli amici si imbucano a una festa e disinvoltamente si presentano ai padroni di casa come se li conoscessero da sempre. Il Necchi ispira la celebre frase del Perozzi: “che cos’è il genio? è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”.
4-Il vedovo (Amici miei atto II, 1982)
Questa è una delle zingarate più spietate: Adolfo Celi fa credere a un povero vedovo di essere stato l’amante della moglie morta Adelina. Haber (il vedovo), travolto dal dolore e dalla confusione, cade vittima dello scherzo atroce, che oscilla tra comicità crudele e pietà umana,. “Non si deve mai andare in Germania Paolo”.
5-La passione di Cristo (Amici miei – Atto II, 1982)
Gli amici partecipano alla rievocazione popolare della Passione di Cristo in un paesino toscano. Viene messa in scena la crocifissione e il Perozzi (Philippe Noiret), nei panni di uno dei ladroni, viene issato sulla croce insieme agli altri figuranti. Gli amici iniziano a sfottere e la scena si trasforma così in un delirio comico-grottesco: battute, bestemmie travestite da toscanismi e risate, mentre il pubblico in piazza resta scandalizzato. È uno dei momenti in cui Monicelli spinge di più sul contrasto tra sacro e profano: la tragicità della Passione ridotta a una farsa.