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Giorno del ricordo, i giovani toscani e croati raccontano le foibe e la storia del “confine difficile”

L’evento al Cinema la Compagnia di Firenze: protagonisti gli studenti coinvolti in un progetto di gemellaggio che li ha portati nei luoghi della tragedia. L’assessora Nardini: “Ricordare quel dramma è fondamentale per costruire un futuro diverso”

giorno ricordo 2024

Quasi 400 studenti, toscani e croati, al Cinema La Compagnia di Firenze raccontano l’esperienza vissuta alla scoperta dei luoghi e della storia del confine dell’Alto Adriatico, un luogo difficile che ha subito la tragedia delle foibe e l’esodo degli italiani fiumani e giuliano-dalmati. Il Giorno del Ricordo, in Toscana, è confronto e riflessione, tra testimonianze e ricordo.

“Immaginatevi  che la cultura sia come un mosaico: per funzionare ha bisogno di tutti gli elementi, ma non faremmo buona memoria se le tessere non servissero, tutte insieme, a costruire un percorso di pace”. Lo detto lo storico Luca Bravi dal palco, nel corso dell’evento del 9 febbraio organizzato dalla Regione, davanti agli studenti toscani protagonisti del gemellaggio promosso dalla Regione ed organizzato attraverso le scuole e gli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea. Il progetto ha coinvolto il “Russel Newton” di Scandicci , il “Giovanni Castiglione” di Arezzo, il Pertini di Lucca e Il Copernico di Prato, oltre alla scuola media superiore italiana di Fiume.

Le testimonianze dei giovani che hanno visitato i luoghi di confine

“Ho scoperto da questa esperienza che ci sono molte meno differenze di quelle che a volte pensiamo e che siamo molto più uniti di come la geografia ci descrive. Spero di morire cittadino degli Stati Uniti d’Europa” dice Pietro Manetti, studente del Copernico di Prato, diciotto anni.  “Le divisioni ideologiche non sono mai utili, ma sono purtroppo difficili da superare” aggiunge.

“È necessario – riflette Antonio Monaco, anche lui di Prato – dare un giudizio storico sulla vicenda delle foibe e dell’esodo ed oggettivizzare la questione per sciogliere elementi di divisione da una parte e dall’altra, con l’obiettivo di una riconciliazione doverosa dopo ottanta anni”.  Elisa Brusic e Antea Marusic, stedentesse croate, sono l’esempio dell’Europa perché si sentono, così dicono, cittadini e cittadine europei prima di sentirsi italiane o croate.

La storia

C’è una foto dei presidenti italiano Mattarella e sloveno Pahor del 2020, a Basovizza, che aiuta a capire la tragedia che si è consumata in quei luoghi. Basovizza è una frazione del comune di Trieste e lì si trova il pozzo di una miniera abbandonata  che è diventato il simbolo di tutte le stragi compiute da parte jugoslava prima in Istria e poi nella Venezia Giulia. Quasi cinquecento scomparvero nel 1943, tra le quattro e le cinquemila persone svanirono invece nel nulla tra maggio e giugno del 1945 alla fine della guerra.

Le violenze si scatenarono in un clima di insurrezione popolare successive all’armistizio dell’8 settembre: i croati colpirono quegli italiani che erano stati vissuti fino al giorno prima come oppressori e chiunque venisse riconosciuto come fascista – e magari non lo era stato – o faceva parte della borghesia.  Di diversa natura furono le violenze del 1945, quando l’esercito jugoslavo arrestò tutte le persone in divisa: non solo militari, ma anche esponenti della guardia civica, carabinieri, e questurini e anche bidelli. Ne fecero le spese non solo gli italiani, ma tutti coloro che si pensava potessere mettere a rischio la creazione di un stato yugoslavo con Trieste e l’Istria, che era il progetto di Tito. In diciottomila forse furono deportati e in 4-5mila non fecero ritorno.

 Assessora Alessandra Nardini

La memoria che insegna

Ma Basovizza conserva all’ombra di tre alberi anche il monumento a quattro eroi sloveni: quattro giovanissimi antifascisti condannati a morte, i primi, nel 1930 dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato fascista. Memorie da riunire per condannare gli orrori della guerra. Dei quattro progetti presentati al Teatro della Compagnia di Firenze per il Giorno del Ricordo, ad esempio, uno parla di Sergio Rusich: insegnante, partigiano ed esule istriano, maestro alla scuola della Montagnola nel quartiere dell’Isolotto a Firenze dove gli è stato intitolato l’anno scorso un giardino.

I ragazzi – sul palco studenti croati e italiani assieme – raccontano anche l’avversione con cui gli esuli italiani furono accolti in Italia. Uno dei convogli con cui arrivarono fu respinto a Bologna, rischiando il linciaggio, e dirottato su Parma. Memoria che è storia, che deve essere monito per il presente e il futuro.

“Le vittime di quel dramma  non meritano né l’oblio né le strumentalizzazioni politiche”, ha detto l’assessora all’istruzione e alla cultura della memoria Alessandra Nardini. L’inziativa di quest’anno ha visto anche  l’intervento di Marino Micich, direttore della Società di Studi Fiumani e figlio di esuli, e rappresenta la tappa conclusiva del progetto annuale di gemellaggio fra studentesse e studenti toscani e studentesse e studenti italiani di Fiume. “Un progetto innovativo  – rimarca l’assessora – che mette al centro proprio le giovani generazioni e un progetto di conoscenza storica: per questo affidato agli istituti della Resistenza, che sono istituti di storia contemporanea che si occupano delle vicende del Novecento e da venti anni anche della storia del confine orientale italiano”.

“Ricordare quell’orrore  – riflette – e ricordare quel dramma è fondamentale per costruire un futuro diverso, dove finalmente si riesca a imparare davvero la lezione della storia. Purtroppo questo non sta accadendo, basti pensare alle tante guerre che ancora oggi insanguinano il mondo, dalla Striscia di Gaza a quello che sta succedendo in Ucraina, solo per citarne alcune”.

 

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