OPINIONE/

L’otto marzo che non si rassegna alla guerra e alla pandemia

Tra Covid e conflitto in Ucraina: sembra quasi impossibile guardare al futuro con speranza.
La Giornata internazionale della donna però ci offre otto parole da cui ripartire

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Questo non è un otto marzo qualunque. Oltre alla pandemia, con la quale abbiamo imparato nostro malgrado a convivere, c’è anche una guerra in corso, in Ucraina, che ci chiama in causa. Che ci interroga. Che ci pone davanti a uno specchio. 

No, non potevamo far finta di nulla. E dunque non potevamo non partire da questa domanda: “Che cosa ci lascia in eredità, oggi, questo otto marzo”? Che cosa ci consegna cioè questo periodo storico che le prossime generazioni studieranno sui libri di scuola?

Incredulità, sicuramente. Ma anche paura, rabbia, sgomento. Ci lascia, per dirla in breve, tanta negatività. Eppure – ci siamo chiesti – qualcosa di bello dovrà pur esserci da qualche parte. Uno spiraglio di luce, un frammento di speranza, un punto dal quale ripartire. Fosse anche un gesto, un simbolo, una parola. Ecco, la parola.

Si dice che le parole siano più taglienti delle armi affilate. E che il dialogo – una parola alla volta – possa portare alla risoluzione di ogni conflitto. E allora, affidiamoci alle parole per questa Festa della donna, dove magari ci sarà poco da festeggiare, ma sicuramente molto su cui riflettere.

Otto parole, tutte al femminile, che parlano di speranza

Le abbiamo scelte con cura, queste parole. Non sono speciali e non sembrano uscite da un Batterzaghi d’annata. Sono otto parole di uso comune – tutte al femminile, tra l’altro – che oggi però assumo un peso specifico diverso dal solito.

C’è la creatività, vero e proprio inno alla realizzazione più intima e personale di ciascuno; c’è l’avventura (quella del famoso monologo di Charlie Chaplin ne “Il grande dittatore”) che diventa metafora di incontri ed esperienze di vita; c’è l’armonia, quel punto di equilibrio – interiore, prima di ogni altra cosa – che oggi si fa indispensabile come non mai.

E poi c’è la complicità: quel legame speciale che porta le persone – in amore, così come in amicizia – a una reciproca e profonda comprensione dell’altro. Pensiamoci: in una scena sociale sempre più esasperata e incline alla divisione, riscoprire una connessione con gli altri e con la natura – altra parola chiave – può rappresentare davvero una via privilegiata per oltrepassare le divisioni e tornare all’essenza delle cose e delle relazioni.

Come se non bastasse, in questi lunghi due anni di pandemia abbiamo dovuto fare i conti anche con l’imprevedibilità e le durezza della vita. Alla crisi sanitaria si è aggiunta quella economica; al senso di solitudine, quello di incertezza. Eppure, nonostante tutto, siamo ancora qua. Trasformati, cambiati, magari ancora più traballanti e precari di prima. Ma siamo qua. Non ci siamo arresi. Non lo abbiamo fatto nei momenti più duri della pandemia e non lo faremo oggi, nei giorni più bui dell’Europa. Ecco: questa tenacia, questa forza, questa determinazione saranno nostre compagne di viaggio a lungo.

La vera essenza di una parola fin troppo abusata: libertà

Oggi, 8 marzo 2022, con un conflitto alle porte dell’Europa non possiamo non interrogarci – anche con un po’ di sana vergogna e una buona dose di imbarazzo verso chi l’ha usata impropriamente in questi mesi – sulla parola “libertà”. Quella libertà – o presunta tale – che è stata scandita, urlata e rivendicata in molte piazze italiane, oggi ci consegna un confronto impari e inopinabile con la sua essenza più profonda. No, non è affatto scontato parlare di libertà, oggi. E non è affatto scontato respirare quell’aria di libertà che milioni di persone – a meno di tre ore di volo da noi – sentono di non potersi più permettere.

Ma non è tutto qua.

Nel video abbiamo lasciato per ultima – non a caso – la parola più importante di tutte: pace. E abbiamo deciso che a portarla sullo schermo fosse una bambina, simbolo della donna del futuro.  La vediamo felice e spensierata che corre sopra una giostra di legno. Il pavimento – una distesa policroma di canne di bambù – ci restituisce i colori dell’arcobaleno; mentre le colonne della struttura – in azzurro e in giallo – richiamano alla bandiera ucraina.

Una bambina felice che scivola via di corsa in un parco giochi.

Non sappiamo se questa sia l’immagine della pace. Ma di una cosa siamo certi: quando tutto questo tornerà ad essere pura normalità anche a Kiev e nel Donbass, allora sì che avremo la pace. Starà a noi conservarla stretta. E non darla mai per scontata. Neanche a parole.

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