© Dipartimento Protezione Civile

Storie /

La protezione civile alla prova Concordia. Intervista al Capo Dipartimento Fabrizio Curcio

In questi 10 anni, il sistema nazionale di protezione civile ha affrontato e gestito numerose emergenze, dal naufragio della Concordia al terremoto dell’Emilia e del Centro Italia, fino all’emergenza da Covid-19. Operatività ed estrema performatività che sono state accompagnate da una riorganizzazione culminata con l’entrata in vigore del nuovo codice della protezione civile nel 2018

Già prima del tragico naufragio della Costa Concordia, il mare in cui si muoveva la protezione civile era perturbato. Da poco più di un anno si era infatti conclusa la fase dell’”uomo solo al comando“, quella di Guido Bertolaso e di una gestione sempre maggiore dei grandi eventi come i funerali di Papa Giovanni Paolo II o i mondiali di ciclismo in Italia, senza dimenticare prima il terremoto dell’Aquila, tutto questo tra numerosi successi e pesanti polemiche. A prendere il “timone” del Dipartimento fu Franco Gabrielli, viareggino, già prefetto de L’Aquila e vicecommissario vicario per l’emergenza terremoto, che in occasione del Festival del Volontariato di Lucca nel 2011 utilizzò la metafora dell’orchestra del Titanic che continua a suonare mentre la nave affonda, per riferirsi al modo in cui si continuava a celebrare il volontariato mentre il sistema si inabissava. Proprio per approfondire l’impatto che ha avuto l’emergenza della Concordia sulla protezione civile e i cambiamenti e le evoluzioni affrontate fino ad oggi, abbiamo intervistato il Capo Dipartimento della Protezione Civile, Fabrizio Curcio.

Il disastro della Concordia è avvenuto in un momento di transizione per la Protezione Civile, momento che ha vissuto dall’interno come direttore dell’ufficio gestione delle emergenze del Dipartimento della Protezione e fu il primo ad avvisare l’allora capo dipartimento Gabrielli delle difficoltà che stava avendo una nave da crociera

Fui avvisato dalla sala operativa che una nave di grandi dimensioni, una nave da crociera, non rispondeva più alle sollecitazioni. Avvisai Franco Gabrielli e mi recai in sala operativa perché ci sembrava strano. Lì poi ho avuto la conferma del dramma in corso che ha portato la nave a coricarsi di fronte all’Isola del Giglio con l’evacuazione delle persone via mare e la ricerca e soccorso che è scaturita da quella tragedia.

Questo evento si è collegato in un momento, sia per il sistema di protezione civile che per la governance, delicato, ovvero quello del 2012 dove il sistema era stato messo sotto pressione dalle vicende degli anni precedenti e da decisioni politiche come la famosa “tassa sulla disgrazia” per la quale l’accesso alla dichiarazione di stato di emergenza avveniva tramite una procedura che prevedeva l’aumento delle accise in ambito regionale, sostanzialmente si attivava l’emergenza straordinaria con fondi nazionali al momento che il territorio avesse aumentato le tasse sul proprio territorio colpito da una emergenza.

Che impatto ha avuto tutto questa nella risposta all’emergenza?

Questo non comportò nella primissima fase emergenziale scossoni particolari perché la primissima fase emergenziale è oramai insita nella gestione operativa quindi il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, le Capitanerie di porto e noi stessi, al di là della dichiarazione di stato di emergenza che venne diversi giorni dopo, ci siamo adoperati per far fronte all’attività operativa e alla comunità che si è mossa in modo spontaneo. Faccio riferimento alla grande generosità dei Gigliesi che hanno aperto le loro case e le loro botteghe per accogliere questa gente che era partita per una vacanza e si ritrova improvvisamente a dover evacuare da una nave in condizioni complicate.

La Concordia non è stata però l’unica emergenza che il Dipartimento ha gestito quell’anno

Il 2012 fu un anno particolarmente complicato per il sistema di protezione civile basti ricordare che in febbraio ci fu quello che viene ricordato come il ”nevone” dove mezza Italia finì in una stretta morsa di freddo e fu colpita da nevicate abbondanti. A maggio ci fu poi il sisma che ha colpito, in particolare l’Emilia Romagna, ma anche il Veneto e la Lombardia. Fu un anno in cui il sistema si dovette riconsolidare perché le sfide sono state importanti.

Tanti soggetti, professionalità e capacità in campo che hanno permesso il riscatto del danno provocato, al netto del dolore che rimane indelebile

Sono stati necessari due anni per mettere in sicurezza la nave, raddrizzarla e portarla in porto a Genova dove è stata smantellata, anni in cui il Dipartimento ha messo in campo tutte le componenti del sistema nazionale di protezione civile per la gestione e il superamento di questa emergenza

Partita la dichiarazione di stato di emergenza il Dipartimento si è comportato da Dipartimento e ha messo in atto il know-how che si è stratificato negli anni. Una situazione eccezionale che il Dipartimento ha affrontato insieme alle componenti del sistema e alle sue strutture operative. Era una emergenza nuova per tutti, non c’era una procedura canonica da seguire. Si pensi solo al progetto di recupero che è stato fatto per quella nave messa in quella precisa posizione e questo è stato possibile grazie ad un rapporto strettissimo con quelle che sono le aziende private e gli assicuratori. Così, da un lato, abbiamo messo in campo tutte le eccellenze del sistema di protezione civile come le strutture operative, le nostre competenze scientifiche, il mondo del volontariato ma anche le strutture che si sono occupate di ambiente e della comunicazione con i cittadini. Dall’altra parte abbiamo attivato rapporti con aziende private e assicuratori.

In questi 10 anni, dopo la Costa Concordia ci sono state altre emergenze come il sisma centro Italia e la pandemia che stiamo ancora affrontando, oltre ad una nuova riorganizzazione del sistema con il codice della protezione civile del 2018, situazioni diverse e in evoluzione dove il sistema ha sempre risposto presente

Credo che, in assoluto e in astratto, il sistema di protezione civile sia performante nel tempo e riesce ad intercettare quelli che sono i bisogni dei nostri cittadini nella gestione operativa e soprattutto nella fase di previsione e prevenzione. Questi bisogni cambiano nel tempo per questo è fondamentale adeguare il nostro sistema di protezione civile alle sfide future. Non possiamo pensare che se un sistema è performante oggi lo sarà anche in futuro, perché la nostra società è in continua evoluzione e dobbiamo adeguare le nostre strutture per rispondere al meglio alle esigenze che cambiano.

Più che ridare i poteri al sistema è importante aggiornarlo e renderlo sempre più conforme a quello che serve

In questa evoluzione un ruolo importante è stato ricoperto dal nuovo codice della Protezione Civile del 2018

Il codice ha puntato alcuni elementi portando chiarezza che fino a quel momento, su alcune situazioni, non c’era. Tra queste c’è sicuramente la partecipazione dei cittadini alla pianificazione di protezione civile, azione che a tutt’oggi ribadiamo come fondamentale quando parliamo di covid e del fatto che il cittadino deve collaborare per superare un certo tipo di situazione.

Rispetto a questo sono due le domande da farci: se passati quattro anni dall’entrata in vigore del codice, l’evoluzione della società ci consente di dire che il codice è assolutamente performante o se possiamo fare degli aggiustamenti per renderlo ancora di più. E dall’altra quali sono gli elementi del sistema di protezione civile che dobbiamo riconsiderare dopo l’impatto della pandemia sul nostro Paese. Parlare di ridare i poteri implica che questi prima sono stati tolti e che oggi vengono restituiti. Quello che vorrei sottolineare è che rispetto ad una società che è cambiata, non credo che avere gli stessi strumenti del 2009 ci risolvano i problemi perché nel frattempo sono passati più di 12 anni.

I più popolari su intoscana