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© Massimo Vitali

Cultura /

Massimo Vitali: il fotografo ‘innamorato’ degli assembramenti

Intervista al fotografo di fama mondiale che ha raggiunto il successo fotografando le spiagge toscane

Verso la metà degli anni ’90 Massimo Vitali decide di scattare alcune fotografie sulla spiaggia di Marina di Pietrasanta in Toscana. Da quel momento le sue ‘foto delle spiagge’ diventano famose in tutto il mondo. I colori pastello, l’assenza di ombre, le tante piccole persone che popolano il paesaggio diventano una cifra stilistica che rende le sue foto immediatamente riconoscibili. Dalle spiagge si sposta poi nelle discoteche e più in generale in tutti quei luoghi dove si riunisce un alto numero di esseri umani.
Massimo Vitali nasce a Como nel 1944, ma vive da anni a Lucca. I suoi scatti vengono venduti dalle più importanti gallerie al mondo. Le sue foto sono caratterizzate da un’indagine artistica ma anche sociologica e antropologica, oltre a costituire veri e propri documenti storici. Recentemente è stato scelto per partecipare al progetto ‘HOPE‘ realizzato dalle 26 edizioni della rivista Vogue in tutto il mondo. 26 immagini che parlano della speranza per il futuro. Oggi, alla luce del post-lockdown e delle restrizioni agli assembramenti causate dal Covid-19 le sue fotografie acquistano una valenza nuova, diversa. Quale? Siamo andati a chiederlo al fotografo che proprio in questi giorni sta lavorando sulle spiagge toscane.

“Dalla fine del lockdown sono state su parecchie spiagge in Toscana, ed è come se non fosse successo nulla, – ci ha raccontato – è tutto come prima, identico a prima. Io non ne voglio trarre una conclusione né buona né cattiva, però da una parte vedo persone che tentano di tornare a una normalità, d’altra parte c’è anche tanta gente che non si occupa di queste cose e non è facile arrivare a una conclusione univoca. Diciamo che già dal secondo weekend post-quarantena era ‘liberi tutti’. Non vedo la differenza rispetto a prima”.

Pensa che le sue foto acquisteranno un valore diverso in questo momento storico, alla luce di quello che è successo nei mesi scorsi?



Devo dire che le mie foto durante il lockdown hanno in effetti avuto una rilevanza notevole. Tanta gente ha incominciato a interessarsi a come la gente si riunisce, come la gente sta insieme, cosa che prima non era così ovvia. Sono diventate un momento di discussione. Dato che le mie foto non sono sulle spiagge, sul paesaggio, sulla bella fotografia, ma sono sulla nostra società, su come noi viviamo assieme mi fa molto piacere che suscitino qualche interesse. Recentemente Vogue ha anche scelto una mia foto per il progetto ‘HOPE’.

Mi ha stupito il fatto che Vogue abbia scelto proprio lei che è molto lontano da quel mondo. Forse il desiderio di molti è proprio che il futuro sia ancora quello, una spiaggia in cui possiamo andare a prendere il sole, goderci il mare


Tra l’altro io non ho mai fatto nulla per Vogue, non conosco il direttore di Vogue che ha scelto la foto, non faccio parte di quel ‘giro’ di fotografi. Evidentemente vuol dire che la foto aveva qualcosa di interessante e qualche motivo di speranza per tutti.

Ha raggiunto il successo intorno alla metà degli anni ’90, com’è cambiato il mondo della fotografia in questi anni. C’è ancora quella ricerca, quella voglia di creatività? A me sembra tutto molto statico in questo momento

Sì anche a me (ride), purtroppo, e lo dico perché ci sono tanti giovani che vogliono aprirsi una strada nel mondo della fotografia. Ma se devo dire che qualcuno è uscito con qualcosa di rivoluzionario e con qualcosa di importante, mi spiace ma non lo vedo. Secondo me l’ultima corrente degna di nota quella formata dai fotografi degli anni ’90, i tedeschi della scuola di Düsseldorf come Thomas Struth, Andreas Gursky e Thomas Ruff e il canadese Jeff Wall. Fotografi rivoluzionari che hanno cambiato anche il posizionamento della fotografia, il formato, il modo di vedere e intendere la fotografia che non è più una ‘bella foto’ ma sottende tanti altri significati. Loro hanno fatto una rivoluzione che ha influenzato anche me. Dopo di che non ci sono stati dei momenti altrettanto epocali.

Chiaramente la fotografia di reportage continua ad andare avanti per altre strade

Il reportage purtroppo va avanti (ride). Io sono un anti-reportagista avendo fatto anche il reportage nei tempi peggiori della mia vita. Va avanti ma senza grandi variazioni. Secondo me quello che veramente è importante oggi è la ‘people’s photography’ cioè le foto fatte dalla gente con i telefonini, quello è veramente il reportage in tempo reale. Non un gruppo di persone che cercano di spiegare al mondo quello che loro pensano sia la verità, questo mi sembra veramente molto, molto tirato per i capelli.

Che cosa utilizza adesso per scattare quando sale sul suo ormai famoso cavalletto?

Allora il famoso cavalletto è per ora dormiente perché dato che faccio molte foto, non posso ogni volta montare il cavalletto grande, ci vogliono tre persone. In questo momento preferisco essere più leggero e fare più scatti. Per cui adesso uso un cavalletto normale di carbonio con una prolunga, ho una macchina digitale di medio formato con un dorso da 150 milioni di pixel che mi da la possibilità di fare delle foto che posso stampare grandi, come le foto che facevo con la pellicola di grande formato. Negli ultimi anni ho fatto anchio dei cambiamenti epocali. Intanto ho cambiato da pellicola a digitale, una cosa abbastanza difficile, perché non è detto che il digitale sia così facile da usare anzi è molto difficile. Purtroppo sia io che il mio studio abbiamo la mania della perfezione tecnica, siamo un po’ fissati. La macchina che uso adesso mi dà la possibilità di metterla in cima al cavalletto e poi fare l’inquadratura prima, mettere a fuoco in anticipo e scattare da sotto con un cellulare che fa da telecomando. La macchina sta a quattro metri di altezza, noi stiamo sotto a guardare sul computer cosa succede.

Lei ha raggiunto il successo ‘tardi’, quando aveva già 50 anni, qual è il motivo della sua esplosione, proprio le foto in spiaggia? Lei ha fatto anche molto altro…

Ho trovato una situazione nuova per studiare qualcosa di universale cioè la nostra società, i rapporti tra di noi, come siamo e come appariamo. Oggi le cose cambiano in maniera talmente veloce. Orami da un anno all’altro vedo enormi cambiamenti mentre prima le foto erano un po’ tutte uguali.

In un’intervista ho letto che lei iniziò a fotografare le persone nel 1994 perché voleva guardare in faccia chi aveva votato Berlusconi. Questa cosa mi ha fatto moto ridere, è vero?

Il mio è sempre un interesse per la gente, per cercare di capire quello che la gente pensa, quello che la gente vuole fare. Riserva sempre molte soprese.

Dopo tutti questi anni passati a fotografare la gente lei cos’ha capito?

Il problema è che lo dovrebbero capire gli storici, io fornisco degli strumenti. Vorrei che i miei strumenti fossero quanto più accurati e neutri possibile, in modo che domani chi studia la società possa trovare delle spiegazioni.

Cosa la spaventa di più della società contemporanea?

Non sono spaventato quasi per nulla. Non posso non notare alcune cose come ad esempio dopo il lockdown l’importanza che assumono le ‘bande’ di ragazzi tra i 12 e i 18 anni. Ragazzini e ragazzine che non rispettano nessun genere di distanziamento e avendo fatto il lockdown sono riusciti a conquistare una posizione nella società diversa da quella che avevano prima. Sono più adulti, è come se dicessero: siamo stati buoni chiusi a casa, adesso anche noi facciamo parte di tutti gli altri. C’è una grande voglia di sfrontatezza e di imporre la propria presenza che prima non si notava. E’ quello che noto nelle mie fotografie, lo trovo anche molto comprensibile, che si sia d’accordo o no: sono un po’ ‘scoppiati’.

Per informazioni:

https://www.massimovitali.com

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