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La vita ai tempi del Coronavirus: storie di nuove quotidianità

Annalisa e il suo ragazzo vivono in comuni diversi. Marta si aggrappa a Whastapp. E poi ci sono Eva e la sua Ginevra mentre Rossano è alle prese con Torero Camomillo per intrattenere la sua Nara

Nara e Matilde giocano a palla

“Il decreto del 9 marzo ci ha colto abbracciati sul divano che aspettavamo di guardare il Commissario Montalbano ma l’abbiamo capito solo dopo che, con le nuove disposizioni per l’emergenza Coronavirus, non avremmo più potuto vederci”.
Annalisa è di Pisa, vive a Firenze dove lavora in una casa editrice, il suo ragazzo è di Bagno a Ripoli. Fino alla scorsa settimana non avrebbero mai creduto che il confine geografico tra i rispettivi territori comunali, così vicini, sarebbe diventato invalicabile.

Da quando tutta l’Italia è diventata una grande e unica zona rossa, paradossalmente siamo tutti un po’ più distanti.

Annalisa e il suo compagno lo hanno realizzato in fretta: l’amore non basta, l’amore non rientra tra le ‘comprovate motivazioni’ previste nell’autocertificazione necessaria per spostarsi tra comuni.

Giuà e Gaia vivono la stessa situazione: “Stiamo cercando di organizzarci, ci videochiamiamo ma non abbiamo intenzione di contravvenire alle disposizioni, è dovere civico”.

Dopo il silenzio con cui tutti abbiamo ascoltato le parole del presidente del Consiglio in diretta video, ognuno è stato costretto a fare i conti con la propria realtà, con le proprie abitudini. Abbiamo presto preso coscienza che certi gesti – un bacio, la cena con gli amici, l’abbraccio di una madre – scontati fino ad un attimo prima, non lo sarebbero stati più.

All’improvviso ci siamo scoperti fragili, vulnerabili, impreparati. La nostra quotidianità è stata stravolta. E noi che della battaglia, anche se la sentiamo vicina, ci arrivano soltanto gli echi, se ci incontriamo sul pianerottolo del condominio ci sorridiamo, ci salutiamo ma subito ci fermiamo per capire chi per primo deve scendere le scale perché insieme non possiamo farlo.Ed è con queste accortezze che dovremmo fare i conti nelle prossime settimane.

Marta ha 34 anni, è single, ha cancellato concerti, lezioni di ballo e cene programmate e si appresta, un po’ impaurita, come è naturale che sia, ad affrontare la solitudine munita di un cellulare e delle chat di Whatsapp, perché su quelle i baci si possono ancora mandare. Come lei anche Lisa, guida turistica a partita Iva che deve fare i conti non soltanto con la paura della solitudine ma anche con la crisi del turismo: “L’agenda potrei buttarla – racconta – perché tutto quello che c’è segnato, sia per quel che riguarda il lavoro che la vita privata, è saltato”. Sono saltate le prenotazioni dei tour turistici di marzo e non ci sono certezze per quelle a venire: ad oggi ha stimato una perdita economica intorno ai mille euro ma sa benissimo che le perdite reali non sono ancora calcolabili perché è proprio tra marzo e aprile che le arrivano le prenotazioni per i tour autunnali.

Per non abbattersi Lisa cammina, fa lunghe solitarie passeggiate e quando le capita di incontrare qualcuno ci parla, ci scambia quattro chiacchiere, ovviamente a distanza: “Ci incrociamo, ci osserviamo e ci scansiamo ma ci salutiamo più di quanto non facessimo prima. Questa emergenza ci chiede di evitare di fare quello di cui abbiamo tutti intimamente più bisogno: il contatto e il conforto di non essere soli”.

Annalisa, Marta, Lisa, Giuà, Francesco. Ognuno è alle prese con la riscrittura della propria quotidianità in questi giorni.

Ma i più complessi, forse perché ai grandi è precluso l’accesso alla vastità del loro mondo, sono i più piccoli, i bambini. Come glielo spieghi ad un bambino che c’è una cosa invisibile piccola piccola ma cattiva cattiva e che per colpa sua al parco non è possibile giocare sull’altalena se c’è già sopra un altro bambino? I bambini amano stare insieme, loro sono davvero degli animali sociali.

È difficile spiegare a Ginevra perché non andiamo più a danza con le altre bambine e perché non vengono più a casa nostra, ma è ancora più difficile farle capire che non è colpa sua, non è colpa sua se le amichette non vengono a giocare con i giochi che abbiamo a casa”. Eva vive a Lucca, addetto stampa di una pubblica amministrazione è mamma di Ginevra, una splendida bambina di due anni.

All’inizio – racconta Eva – ho cercato di farle percepire il tutto come un gioco, poi un giorno, all’improvviso, mi ha chiesto se il virus sarebbe arrivato anche da noi, per me è stata come una doccia fredda. In quel momento ho preso coscienza del fatto che anche lei, nel suo piccolo, stava vivendo una situazione diversa dalla normalità. Forse avrei dovuto spiegarle tutto prima ma speravo di proteggere la sua innocenza. Noi mamme impariamo giorno giorno”.

E mentre imparano riescono a tirare fuori dal cilindro risorse e idee che solo le mamme hanno. Eva, ad esempio, si è messa a costruire case per le bambole con scatole per le scarpe così da spiegare alla sua Ginevra l’importanza di stare lontani quando si è malati per guarire più in fretta: “Fino ad un mese fa – dice – ero la classica mamma lavoratrice che si faceva in quattro come ce ne sono tante, e credevo di fare il massimo, ero convinta che di più non avrei potuto fare ma mi sbagliavo: da un giorno ad un altro mi sono scoperta più forte”. “Questa emergenza – aggiunge – ci ha fatto scoprire più forti di quanto non credessimo, pronti a reagire e a supportarci l’uno con l’altro. Lo facciamo per noi ma soprattutto per i nostri figli”.

Ed è per la sua piccola Nara che Rossano, tuttofare con l’accento marcatamente livornese, da quando anche la Toscana è diventata zona rossa, passa le giornate a inventarsi una narrazione, ogni giorno diversa, della realtà.

Abituati (prima) a passare molto tempo all’aria aperta tra pic nic, fughe a raccogliere le conchiglie a Viareggio e poi le uova nel pollaio del nonno (la scorsa settimana a Montepiano per fare merenda con gli alpaca), per Rossano e Nara l’obbligo a limitare le uscire ha richiesto un cambiamento drastico ma lui non si scoraggia: “Ne approfitteremo per provare nuovi giochi, fare disegni, mi inventerò una coreografia su Torero Camomillo e salteremo sul letto, se si romperà, non mi mancherà il tempo per sistemarlo, magari già che ci sono aggiusterò anche la porta di casa”.

Nara – riprende Rossano – vorrebbe uscire come facevamo prima. È difficile spiegarle che non possiamo perché fuori c’è qualcosa che potrebbe farle male. Dove? Nell’aria? In realtà fuori è anche bello, sembra il clima tipico di quando nevica: poche macchine, poche persone. Ovviamente la preoccupazione c’è. È una preoccupazione che è cresciuta piano piano: sai che il virus c’è ma prima era lontano, poi si è avvicinato e te ne rendi conto quando non puoi abbracciare i tuoi amici quando li incontri, quando non puoi stringere la mano a qualcuno che non vedi da tempo. Ora non ci resta che aspettare e restare concentrati ad evitare che si diffonda. Personalmente mi sento come se fossi in macchina prima di una salita lunga e tortuosa, pronto con lo spirito giusto per affrontarla”.

Nel frattempo continuerà ad inventare giochi per Nara e per Matilde, amica di Nara e vicina di casa, ovvero le protagoniste della foto che accompagna questo articolo. Nara e Matilde, 2 anni e mezzo la prima, 12 la seconda, sono l’immagine di chi non si lascia affliggere. Non potendo giocare in cortile, giocano a palla finestra-finestra. E se si rompe un vaso? Pazienza, Rossano lo sistemerà.
In questo scatto rubato ai giochi di Nara e Matilde si ha quasi la sensazione di cogliere la consapevolezza di un sacrificio necessario e la speranza in una primavera che presto sboccerà.

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