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La coltura idroponica fa bene alle piante: la scoperta dell’Università di Pisa

I ricercatori hanno sperimentato questo tipo di coltivazione utilizzando acque reflue: i risultati sono molto positivi anche per la sostenibilità ambientale

La piantaggine coltivata con l’idroponica

Una risposta sostenibile alla scarsità di acqua per l’agricoltura, in crescita in buona parte del mondo, arriva dall’Università di Pisa. Si tratta delle colture idroponiche, che utilizzano acque reflue derivate da colture ‘donatrici’ e fanno bene anche alle piante.

Piante coltivate con le acque reflue di una serra di pomodori

A dimostrarlo è una ricerca dell’Ateneo pisano pubblicata recentemente sulla rivista “Agricultural Water Management”, che ha riguardato due piante spontanee tipiche del Mediterraneo che crescono anche in Toscana, l’aspraggine (Picris hieracioides) e la piantaggine (Plantago coronopus), impiegate nel settore alimentare e fitoterapico.

“Secondo i principi dell’economia circolare e dei sistemi produttivi integrati o a cascata – spiega il professore Alberto Pardossi dell’Università di Pisa, che fa parte del gruppo di ricerca “Orticoltura e Floricoltura” insieme agli altri autori dello studio – abbiamo utilizzato l’acqua reflua proveniente da una coltura ‘donatrice’, il pomodoro coltivato in serra in questo caso, riducendo così l’impatto ambientale della coltura a monte e i costi di produzione della coltura a valle, dato che non è necessario acquistare fertilizzanti”.

Con l’idroponica non servono fertilizzanti

Le acque reflue delle colture in serra hanno spesso un elevato contenuto di sali e pertanto individuare le specie adatte è fondamentale. L’aspraggine e la piantaggine sono infatti piante “alofite”, il che significa che tollerano bene i terreni salini e l’irrigazione con acque salmastre.

“Le due specie studiate si sono adattate molto bene alla coltura idroponica in serra, oggi sempre più utilizzata per la produzione ortaggi crudi o minimamente trasformati di particolare interesse per la cucina gourmet – conclude Pardossi – questo metodo di coltivazione suscita infatti un interesse crescente perché consente di migliorare la qualità dei prodotti mediante un’adeguata gestione della soluzione nutritiva e facilita la lavorazione post-raccolta grazie alla pulizia del materiale vegetale”.

Insieme al professor Pardossi hanno condotto gli esperimenti in serra e le analisi di laboratorio Luca Incrocci, professore associato di Orticoltura e Floricoltura, Martina Puccinelli, assegnista di ricerca, e Giulia Carmassi, responsabile del laboratorio chimico.

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