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Come nasce una scultura: i disegni di Henry Moore in mostra al Museo Novecento

Fino al 18 luglio un'esposizione di sculture incisioni e disegni del grande maestro che ripercorre il suo rapporto con la Toscana

Era il 1972 quando Henry Moore realizzò una memorabile esposizione di sculture in bronzo e in marmo al Forte Belvedere a Firenze. A quasi 50 anni da quella storica mostra il maestro della scultura contemporanea torna a Firenze al Museo Novecento fino al 18 luglio con “Henry Moore. Il disegno dello scultore” a cura di Sebastiano Barassi, Head of Henry Moore Collections and Exhibitions e Sergio Risaliti, Direttore artistico del Museo Novecento.

Henry Moore, a Firenze nel 1972 – © Enrico Ferorelli

La mostra

In mostra si troveranno una corposa selezione di disegni, circa settanta, assieme a grafiche e sculture del maestro. Le forme naturali – rocce, ciottoli, radici e tronchi –, gli animali, ma anche i teschi e poi la relazione tra il creatore e la materia, esemplificata anche dai disegni che ritraggono le mani dell’artista o l’artista al lavoro nel paesaggio, divengono il fulcro della mostra. Traendo spunto da una rilettura di alcuni temi centrali nella produzione di Moore, l’esposizione intende proporre un approfondimento sul valore del disegno nella sua pratica e sulla sua relazione con la scultura.

Secondo Moore infatti: “L’osservazione della natura è decisiva nella vita dell’artista. Grazie a essa anche lo scultore arricchisce la propria conoscenza della forma, trova nutrimento per la propria ispirazione e mantiene la freschezza di visione, evitando di cristallizzarsi nella ripetizione di formule”.  

In mostra anche un curioso cranio di elefante proveniente dallo studio dell’artista, su cui Moore si è applicato costantemente per realizzare una serie di incisioni.

Henry Moore e la Toscana

La mostra al Museo Novecento intende anche analizzare il rapporto di Moore con la Toscana. Firenze ha rappresentato un momento saliente e forse cruciale nella formazione del genio artistico di Henry Moore, giunto in città per la prima volta nel 1925, durante il suo primo viaggio di studio in Italia, realizzato grazie ad una borsa di studio messa a disposizione dalla Royal College of Art. Fu quella l’occasione per ammirare e osservare le creazioni dei grandi maestri del passato, tra cui Giotto, Donatello, Masaccio e Michelangelo.

Nel 1972 la grande mostra al Forte Belvedere fu una tappa decisiva per la cultura fiorentina contemporanea. Enorme  l’impatto e la reazione suscitata nella popolazione: al Forte di Belvedere salirono oltre quattrocentomila persone, un risultato imprevisto e tutt’oggi mai raggiunto da nessun altro evento simile in città.

Pochi anni dopo Prato nel 1974 scelse una delle più monumentali sculture dell’artista inglese: una gigantesca opera in marmo a forma di vertebra forata al centro (Large Square Form with Cut, 1969-71) per collocarla al centro di Piazza San Marco, nei paraggi del Castello dell’Imperatore.  Henry Moore conobbe in quegli anni Maria Luigia Guaita, fondatrice nel 1959 della stamperia d’arte Il Bisonte e il collezionista Giuliano Gori fondatore di quel ‘museo a cielo aperto’ che è il Parco di Arte Ambientale di Villa Celle a Pistoia con cui nacque una grande amicizia.

Ma l’amore di Moore non si fermo a Firenze e Prato. Altro luogo importante nella storia dello scultore fu la Versilia con le sue spiagge, la sua comunità di intellettuali, artisti e grandi letterati, le sue montagne, le cave di marmo di Carrara e Pietrasanta, le fonderie. Lo scultore vi si recò la prima volta sul finire degli anni Cinquanta per produrre la grande opera Reclining Figure (1957-58) realizzata in travertino e destinata alla sede centrale dell’Unesco a Parigi.

“In quell’occasione – racconta il curatore della mostra Sergio Risaliti – si legò così tanto alla realtà di quei luoghi, carichi di storia e di sapienza creativa, che a metà degli anni Sessanta acquistò una villetta in Forte dei Marmi dove trascorrere le sue vacanze con la famiglia e poter lavorare nelle cave e nelle aziende del marmo al fianco di scalpellini e artigiani per abbozzare le sue ‘poesie’ scultoree.”

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