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Covid-19: lo smart working per le donne non è smart, lo studio di Ires Toscana

Ecco i dati dell’indagine qualitativa svolta da Sandra Burchi per Ires Toscana su rischi e opportunità dello smart working per le donne

smart working donne - © George Rudy

Serve un’organizzazione più chiara dello smart working, con la possibilità di lavorare da remoto su base volontaria, e regolamentando un’equivalenza tempo/lavoro accettabile che tenga conto del ‘diritto alla disconnessione’: è quanto emerge dalle conclusioni di un’indagine qualitativa di Ires Toscana su rischi e opportunità dello smart working per le donne, indagine presentata da Cgil Toscana.

Secondo Sandra Burchi, autrice dello studio: “l’organizzazione del lavoro sperimentata negli scorsi mesi, dal presentarsi della pandemia, non è smart. Riorganizzare il lavoro su scala individuale è molto impegnativo in ordine alla spesa di tempo, aumenta la disponibilità verso compiti, impegni, orari non prestabiliti. Questa riorganizzazione non è visibile, il tempo per riadattare il lavoro a distanza non è misurato. Molte hanno lavorato prima o dopo l’orario di lavoro per organizzarsi con i colleghi, per apprendere l’uso delle tecnologie, per cercare di tenere testa anche agli impegni dei vari familiari, didattica a distanza in testa. Il tempo non solo aumenta, si confonde: non c’è più un tempo fuori del lavoro”.

“Lo smart working – ha commentato Dalida Angelini, segretaria generale Cgil Toscanapuò rappresentare un elemento positivo con ricadute anche sul benessere della comunità, si pensi solo alla riduzione dell’inquinamento. Tuttavia è importante la sua regolamentazione attraverso gli strumenti della contrattazione. Si può dunque sostenere questa modalità di lavoro a patto che vengano rispettati i diritti, venga garantito il diritto alla disconnessione, non si accentuino le disuguaglianze, soprattutto di genere, e si risolva il problema della totale copertura della rete”.

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