Recuperare il litio dalle brine geotermiche, nell’ambito di una strategia di economia circolare. Una possibilità che è stata esaminata nel seminario organizzato da Arpat, il 17 luglio, a Firenze, nella sede della Presidenza della Regione Toscana.
Il litio è una materia prima fondamentale per la transizione energetica, in particolare per la produzione di batterie per veicoli elettrici e sistemi di accumulo energetico. “Arpat – ha spiegato il presidente Eugenio Giani – sta lavorando ad uno studio per comprendere se è possibile ottenere del litio, materia critica e strategica per la transizione green, dai fluidi del processo geotermico, nei quali è presente in quantità non trascurabile.Della possibilità di recuperare il litio dai fluidi geotermici abbiamo già parlato anche con Enel Green Power, durante l’anno che ha condotto al nuovo accordo per il rinnovo delle concessioni geotermiche. Visto che gli studi dimostrano la presenza di materiali rari nei fluidi geotermici presenti nel sottosuolo, abbiamo quindi incaricato Arpat di studiare la possibilità e l’impatto di un loro eventuale recupero. Questo significherebbe il rilancio di un’attività di economia circolare in Toscana non impattante sul territorio. I primi riscontri sono positivi e per questo il nostro studio va avanti”.
“I fluidi geotermici contengono litio – aggiunge l’assessora regionale all’ambiente ed all’economia circolare Monia Monni – questo è un fatto. Noi vogliamo capire se e come è possibile recuperarlo e rimetterlo sul mercato. Per fare questo ci affidiamo al nostro braccio tecnico-scientifico, Arpat e agli esperti della società Ricerca Sistema Energetico che è una società controllata dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE S.p.A.) interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze”.[/jmark]
Secondo le stime dell’International Energy Agency (IEA) la richiesta di litio è cresciuta del 30% e dal 2029 l’estrazione mineraria non sarà più sufficiente a coprire la domanda, considerando il fatto che i minerali sono a bassa concentrazione di litio. I numeri li ha fornit Pietro Rubellini, direttore di Arapt. “Dal punto di vista degli impatti ambientali gli scavi sono altamente impattanti e la capacità estrattiva del litio incontra limiti tecnologici oggettivi. Pertanto, bisogna far ricorso all’economia circolare e mettere in atto strategie tecnologicamente avanzate finalizzate all’individuazione di flussi di rifiuti industriali e urbani ad elevato contenuto di litio, quali ad esempio i Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE). È l’idea che sta alla base dell’urban mining, nota come ‘estrazione urbana’ con cui si intende il processo virtuoso che permette di effettuare una raccolta differenziata finalizzata ad estrarre dai rifiuti, metalli e materiali preziosi e rari, destinate a entrare in un circuito di economia circolare in veste di materie prime seconde, dando così nuova vita a quelli che normalmente sarebbero stati trattati come scarti.Trasformare le discariche in miniere è invece, alla base del landfill mining, ovvero svuotare ed estrarre materie prime valorizzabili come i rifiuti elettronici dalle vecchie discariche.]Il ruolo di ARPAT – ha concluso Rubellini – è quello di definire le pratiche corrette e i flussi rispetto a questo tipo di attività. E tra queste vi rientra la possibilità di estrarre litio dalle brine geotermiche di scarto, derivanti dalle attività di sfruttamento dell’energia geotermica”.
Le brine geotermiche, di cui esistono varie tipologie, rappresentano una risorsa ancora poco sfruttata ma estremamente promettente per l’estrazione di litio. In Europa, aree ad alto potenziale sono già state identificate, tra cui la Upper Rhine Valley in Germania e, in Italia, alcune zone della Toscana e del Lazio.