Dal primo maggio al 30 giugno ‘Il Quarto Stato’, capolavoro di Giuseppe Pellizza da Volpedo, sarà in mostra nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio.
Simbolica l’apertura della mostra nel giorno della festa dei lavoratori, dato che ai lavoratori è dedicato questo enorme dipinto alto due metri e 93 centimetri e lungo cinque metri e 45.
Al Museo del Novecento di Milano, dove è esposto dall’inaugurazione del 2010, l’opera è stata spostata dalla teca, che si trova prima dell’accesso vero e proprio alla collezione permanente, è stata fatta una scansione 3D per accertarne lo stato di salute e sono iniziate le operazioni di pulitura precedenti all’imballaggio del dipinto che con la cornice arriva a 6 metri per 3.
Dalla finestra è stato poi calato in strada dove sarà caricato su un mezzo per il trasporto eccezionale di 16 metri.
La tela per Milano ha un’importanza particolare, fu comperata dal Comune nel 1920 grazie a una sottoscrizione popolare, in pratica fu acquistato con le donazioni dei milanesi.
Venne poi messo in deposito nel periodo del fascismo per poi essere esposto dopo la guerra nella sala del Consiglio comunale dove è rimasto fino al 1980, quando è stato portato alla Gam e infine al Museo del Novecento.
Il Quarto Stato
Il quarto stato raffigura un gruppo di braccianti che marcia in segno di protesta in una piazza, presumibilmente quella Malaspina di Volpedo.
L’avanzare del corteo non è violento, bensì lento e sicuro, a suggerire un’inevitabile sensazione di vittoria, Pellizza voleva dare vita a “una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s’avanzano come fiumana travolgente ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov’ella trova equilibrio”.
L’artista con questa opera maestosa intendeva celebrare l’imporsi della classe operaia, il “quarto stato” per l’appunto, a fianco del ceto borghese.
In primo piano, davanti alla folla in protesta ci sono tre soggetti, due uomini e una donna con un bambino in braccio.
La donna, che Pellizza plasmò sulle fattezze della moglie Teresa, è a piedi nudi, e invita con un eloquente gesto i manifestanti a seguirla.
Alla sua destra procede quello che probabilmente è il protagonista della scena, un “uomo sui 35, fiero, intelligente, lavoratore” (come affermò lo stesso Pellizza) che, con una mano nella cintola dei pantaloni e l’altra che regge la giacca appoggiata sulla spalla, procede con disinvoltura, forte della compattezza del corteo.
Alla sua destra vi è un altro uomo che avanza muto, pensoso, con la giacca fatta cadere sulla spalla sinistra.
La quinta costituita dal resto dei manifestanti si dispone sul piano frontale: tutti i contadini compiono gesti molto naturali, alcuni reggono bambini in braccio, altri appoggiano la mano sugli occhi per ripararli dal sole, e altri ancora, semplicemente, guardano diritti davanti a loro.
La composizione della scena da un lato ricorda capolavori quali la Scuola di Atene di Raffaello e l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, dall’altro evoca una situazione molto realistica, come una manifestazione di strada.
È in questo modo che Pellizza fonde armoniosamente i valori riferiti all’antica civiltà classica alla moderna consapevolezza dei propri diritti civili.