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Coronavirus, lo scienziato Rappuoli: “Misure di contenimento necessarie in attesa del vaccino”

Intervista al professor Rino Rappuoli che con l’azienda GSK di Siena ha messo a disposizione gli adiuvanti per sviluppare un vaccino contro il Covid-19

Il professor Rino Rappuoli

Il professor Rino Rappuoli, responsabile scientifico di GSK di Siena, è uno dei pionieri dei vaccini: ha sviluppato quello per la meningite B e oggi sta collaborando nella messa a punto di un vaccino per il Covid-19. GSK infatti ha avviato due collaborazioni per contribuire allo sforzo globale per lo sviluppo del vaccino per il nuovo Coronavirus, sia con CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) che con l’azienda cinese Clover Biopharmaceuticals. Abbiamo chiesto al professor Rappuoli di aiutarci a capire le dinamiche di questa epidemia.

Professor Rappuoli, quando capiremo se siamo riusciti ad arginare il contagio?
Questo è un virus nuovo e chiaramente ancora non lo conosciamo bene, le prossime due settimane saranno cruciali nel capire se stiamo riuscendo ad arginarlo, noi e anche il resto d’Europa. I cinesi sembra che ci siano riusciti perché non hanno più l’aumento dei casi impressionante di prima e questo vuol dire che mettendo in atto misure molto severe, come in Cina, si può contenere. La prossima settimana capiremo se le misure prese in Italia sono efficaci e se siamo riusciti a mantenere il virus in quelle che ora sono le zone rosse o se ci saranno altri focolai. È presto per dirlo, ora abbiamo due certezze: che è possibile contenerlo e che per contenerlo ci vogliono misure molto severe.

Chiudere le scuole quindi è stata una decisione necessaria?
È una precauzione importante per limitare la diffusione del virus che rischia anche di intasare le terapie intensive, quindi più si diminuisce l’intensità del picco più è facile per la sanità fronteggiare la situazione. Poi non sappiamo se riusciremo a contenerlo per sempre ma in questo momento abbiamo bisogno di guadagnare tempo perché non abbiamo farmaci né vaccini: l’unica cosa che abbiamo è la vecchia quarantena, l’isolamento e l’igiene. Tutto il mondo, compresi noi, stiamo lavorando a famarci e vaccini, se riusciamo a ritardarne di mesi e magari di un anno la diffusione mondiale quando arriverà saremo più preparati.

A che punto sono le ricerche mondiali per sviluppare il vaccino? Quanto tempo ci vorrà?
A livello internazionale grazie alle nuove tecnologie oggi sviluppare un vaccino per il coronavirus non è un’impresa impossibile perché abbiamo l’esperienza del passato quando sono stati creati quelli per la Sars e per la Mers. Per fare un vaccino anche con le tecniche più moderne in laboratorio ci vuole una settimana ma poi per averlo approvato e a disposizione del pubblico in condizione normali ci vogliono 15-20 anni, per l’Ebola abbiamo accelerato tantissimo e ce ne sono voluti 5, oggi anche grazie a quell’esperienza possiamo accelerare ancora ma ci vorrà come minimo un anno.

Qual è il vostro contributo come GSK alla messa a punto del vaccino?
In passato nel caso della Sars eravamo tra i pochi al mondo ad avere le tecnologie avanzate per fare i vaccini e quindi all’epoca siamo stati i pionieri, oggi ci sono molti laboratori nell’accademia e aziende di biotecnologie in grado di farlo e quindi ci siamo posti il problema di come dare un contributo senza ripetere quello che stanno facendo in tanti. Noi abbiamo una cosa importantissima che serve a sviluppare i vaccini: gli adiuvanti. Sono delle sostanze che si aggiungono ai vaccini per farli funzionare meglio e più velocemente e per realizzarli ci vogliono vent’anni. Oggi noi siamo l’unica azienda al mondo che ha degli adiuvanti registrati disponibili e che li può produrre in decine o centinaia di milioni di dosi. Quindi invece di fare la corsa al vaccino ci siamo messi in contatto con i migliori al mondo che stanno realizzano i vaccini e abbiamo messo loro a disposizione l’adiuvante in modo da accelerarne la produzione.

Professore come mai secondo lei i bambini sembrano colpiti in maniera meno grave dal Covid-19?
Posso solo fare ipotesi perché è un virus troppo giovane per conoscerlo ma non sarebbe la prima volta che i bambini hanno infezioni virali senza i sintomi gravi degli adulti, come avviene ad esempio per l’epatite A. La ragione più plausibile è legata alla risposta immunitaria innata, che è più blanda nei bambini perché l’immunità non è ancora matura. In molte di queste malattie, e credo che sia anche il caso del coronavirus, la malattia stessa non è dovuta al virus di per sé ma alla reazione immunitaria che il nostro organismo fa che è massiccia per esempio nei polmoni: la polmonite molto probabilmente è dovuta alle cellule del nostro sistema immunitario che vanno a finire nel polmone per combattere il virus e lì secernono tantissime citochine che generano la malattia.

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