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“Vakhim”, la regista Francesca Pirani presenta a Firenze il suo film

Il film che tratta il delicato tema delle adozioni internazionali, sarà presentato venerdì 13 giugno, alle 21.00, al cinema Astra di Firenze, introdotto dal docente e critico, Stefano Socci, insieme alla psicologa psicoterapeuta Cecilia Iannaco

Film Vakhim

C’è anche la storia personale della regista, Francesca Pirani, nel film Vakhim, che dopo la presentazione a maggio al Farnese di Roma, arriva a Firenze, dove sarà presentato al cinema Astra, venerdì 13 giugno, alle 21.00, alla presenza della stessa Pirani, introdotta in sala dal docente e critico, Stefano Socci, insieme alla psicologa psicoterapeuta Cecilia Iannaco.

I ruoli di madre e di regista, si fondono in un film che va a toccare le corde profonde di un tema molto delicato, quello del rapporto tra i genitori con i figli adottivi. Vakhim è infatti il nome di un bambino cambogiano, che Francesca Pirani adotta all’età di 4 anni, nel 2008. Vissuto in condizioni di povertà fin dalla nascita, la mamma lascia lui e sua sorella in un orfanotrofio, in quanto impossibilitata a provvedere al loro sostentamento. Il film è una testimonianza del processo di avvicinamento dei genitori romani al bambino cambogiano; il suo arrivo a Roma; l’inserimento a scuola; la crescita nel percorso tra l’infanzia e l’adolescenza. Vakhim è da sempre solare, allegro, attivo e sembra non risentire del distacco. “Gente allegra Dio l’aiuta”, dice il proverbio toscano: ed è proprio quello che il film testimonia. La solarità di Vakhim è premiata con un incontro felice: in Italia il bambino ritrova infatti Maklin, la sorella maggiore, anche lei adottata da una coppia italiana. Ma l’improvviso arrivo di una lettera da parte della madre naturale di Vakhim, che chiede notizie di suo figlio, porterà a conoscere verità mai confessate. Francesca e Simone, i genitori adottivi, decidono di andarla a cercare.

Nel corso dell’evolversi delle situazioni, veniamo a conoscenza della drammatica storia, che ha portato Vakhim all’adozione. La madre biologica è una donna sola, che ha combattuto per la sopravvivenza, in un paese poverissimo. Il film porta così alla luce anche una storia di violenza domestica, proprio quella dalla quale la mamma del piccolo cambogiano è fuggita, con coraggio, pagandone il prezzo della solitudine e dell’indigenza.

L’incontro, in Cambogia, tra la madre biologica e Vakhim e sua sorella Maklin, è uno dei momenti più struggenti del film. A commuoversi di più sembra essere il mondo degli adulti, mentre Vakhim stenta a ricordare luoghi e persone dei quali ha  qualche reminiscenza lontana: il villaggio sperduto nella foresta è infatti un mondo che sente lontano e non suo. Ma finalmente i cuori si aprono e riconnettono i sentimenti di una famiglia che, da ora in poi, sarà più grande, o come si dice oggi, “allargata”, e prevederà il contatto, anche a distanza, tra gli adottati, i genitori adottivi e la mamma biologica.

“La scelta stilistica – ha dichiarato la regista – è nata spontaneamente, assecondando la qualità intima del materiale filmato e le sue potenzialità. Quelli che dovevano essere semplici filmati di famiglia, diventano lo sguardo partecipe e la testimonianza di un distacco imposto, drammatico, dal mondo di Vakhim. Il film ha la mia voce narrante – come madre e regista del film – a fare da contrappunto alle immagini. Una commistione di repertorio privato e nuove riprese, cui è affidato il compito di dar corpo alla vita nascosta nella mente di Vakhim. Il linguaggio si destruttura con l’avanzare della storia, abbandonando la costruzione strettamente realistica, grazie alle riprese realizzate ex novo in Cambogia. Il viaggio di ritorno nella zona d’origine, il rapporto con i bambini e i contadini che interpretano i ricordi di Vakhim e di sua sorella Maklin, le loro emozioni nel ritrovarsi in quel mondo, l’incontro con la madre naturale, sono caratterizzati da un linguaggio visivo che alterna al realismo del tempo presente quello più libero della memoria. Per questa ragione ho utilizzato linguaggi visivi differenti, a cui corrispondono anche mezzi tecnici di ripresa diversi. Le ricostruzioni dei ricordi di Vakhim e Maklin in Cambogia hanno un carattere più cinematografico, il diario di viaggio, invece, uno stile totalmente realistico cui è affidata anche la narrazione del clima delle riprese, gli stati d’animo di Vakhim e Maklin, le notizie che arrivano sulla madre naturale, i primi contatti, sino allo sconvolgente incontro con lei”.

“Vakhim, in realtà, è molto di più di un documentario sulle adozioni: è un film sulle separazioni, sulla memoria, sulla ricerca delle proprie origini e del proprio passato. La storia sentimentale di un mondo perduto e ritrovato” – si legge nelle note della produzione del film. “La sfida produttiva è stata quella di accompagnare Francesca nell’originale lavoro di commistione fra materiale di repertorio e girato. Un vero e proprio ponte tra passato e presente, tra il 2008, l’anno in cui Vakhim è stato adottato, e il 2023, l’anno del ritorno in Cambogia, quando Vakhim ha potuto finalmente specchiarsi nella propria infanzia. Intorno a questi due elementi visuali si muove il senso stesso del film. Le straordinarie immagini di repertorio girate dalla regista sono immagini “oggettive”, spina dorsale del racconto “diaristico” di un bambino che cresce. Ma sono anche la testimonianza di un passato che proprio quando sembra stia per perdersi, improvvisamente riaffiora, in modo inaspettato: prima con il ritrovamento della sorella maggiore, Maklin, e di altri due fratelli, tutti adottati in Italia; poi, col riapparire della madre biologica dei ragazzi, attraverso l’arrivo di alcune lettere”.

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