Darya Majidi, imprenditrice italo-iraniana e computer scientist, è una pioniera e visionaria dell’Information Technology in Italia. Il suo intervento aprirà Nexus Digital, l’evento di business matching promosso dalla Regione Toscana in collaborazione con università, centri di ricerca e attori del sistema dell’innovazione che si terrà il 17 novembre alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, per valorizzare e mettere in rete le eccellenze regionali nei settori ICT, IoT e Intelligenza Artificiale, creando nuove opportunità di collaborazione tra imprese, spin-off, startup e organismi di ricerca.
Dottoressa Majidi, il suo intervento aprirà Nexus Digital, l’evento regionale che nasce per creare sinergie tra università, imprese e startup toscane. Qual è, secondo lei, il valore di iniziative come questa per la crescita dell’ecosistema dell’innovazione regionale e nazionale?
Il tessuto economico italiano è fatto da piccole imprese che spesso non hanno la possibilità di avere reti importanti per la loro crescita: giornate come questa servono per creare reti networking e consapevolezza negli imprenditori e per imparare l’uno dall’altro, cercando di far tesoro delle esperienze altrui.
A proposito di piccole e medie imprese, il tema del suo keynote a Nexus Digital è “Digitalizzazione, AI e IoT: fattori chiave per la competitività della Toscana”: in che modo queste tecnologie possono diventare leve reali di sviluppo per le PMI?
Le tecnologie digitali utilizzate con consapevolezza portano in azienda un fattore esponenziale di crescita. Prendiamo l’esempio di un’azienda tradizionale, magari del manifatturiero, un’eccellenza del Made in Italy ma piccola: se capisce come usare il cloud per darsi visibilità o come usare l’AI per essere presente sui social e crearsi un posizionamento distintivo, automaticamente si apre al mercato mondiale. Spesso invece le nostre aziende rimangono nella loro comfort zone e hanno approcci tradizionali nella vendita nella comunicazione, ma in un contesto così globale, così competitivo, è fondamentale dotarsi di un mindset digitale per accedere ai mercati internazionali. È fondamentale che le aziende capiscano che se loro non usano queste tecnologie lo faranno i loro competitor e avranno automaticamente un vantaggio importante. Di fronte a queste tecnologie le reazioni sono sempre tre: i pionieri, che hanno veramente un vantaggio rispetto agli altri, i follower, che aspettano di vedere cosa succede, e chi ne ha paura e rimane ostile, e queste aziende semplicemente moriranno.
Lei ha collaborato a lungo con la Scuola Superiore Sant’Anna, con ARTES 4.0 e con molte realtà toscane. Quali sono secondo lei i punti di forza e di debolezza del sistema toscano?
I problemi sono a livello nazionale. Qui non ci sono finanziamenti impattanti, in Italia se un’azienda porta a casa un private equity di un milione sembra importante, ma negli Stati Uniti si parla di un miliardo, noi dobbiamo proprio capire che i finanziamenti per queste nuove tecnologie sono importanti e invece c’è un po’ questo sbriciolamento delle opportunità che fa sì che poi nessuno cresca davvero. In Italia abbiamo università importanti e ragazzi bravi ma i dati ci dicono che negli ultimi tre anni 150mila ragazzi ce ne sono andati. Le nostre debolezze sono pochi investimenti in ricerca e sviluppo e anche negli stipendi. Un ragazzo qui guadagna 1.500-1.600 euro al mese e negli Stati Uniti invece 6.000-7.000, è chiaro che i più bravi se ne vanno. Quindi è il sistema paese che deve veramente aggiornarsi.
Con “Donne 4.0” promuove da anni l’empowerment digitale femminile. A che punto siamo, in Italia, nella riduzione del digital gender gap e cosa servirebbe per valorizzare il talento femminile nelle materie STEM e nella tecnologia?
Mentre in tutte le altre materie STEM le donne stanno crescendo nell’ICT (Information and Communication Technology) nell’informatica e nell’elettronica quindi, siamo fermi. Siamo intorno al 17% e non riusciamo a crescere perché la narrativa che le stesse università danno, di materie aride, dove la parte creativa non ha sfogo, è sbagliata. Poi il problema è che le ragazze più brave sin da bambine vengono spinte verso le materie umanistiche, mentre i bambini verso l’ingegneria. Questo crea da subito questo gap e le ragazze crescendo si convincono di non essere portate per le materie tecnologiche, il che è semplicemente una sciocchezza. Quello che proponevo nel mio libro “Donne 4.0”, che è diventata un’associazione, è che informatica sia una materia curriculare, che si studia a scuola come fisica e chimica. Il mio messaggio per le ragazze è: non temete queste materie assolutamente, perché siete in grado.
Lei è una pioniera dell’Information Technology in Italia, con oltre trent’anni di esperienza e diverse startup all’attivo. Qual è stata la sfida più grande nel suo percorso e cosa consiglierebbe a un giovane che oggi vuole avviare una startup tecnologica?
Io ho creato la mia prima start up a 28 anni, uno spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna e dopo ho scoperto che ero stata la prima donna ad aver creato uno spin-off alla Sant’Anna. Le sfide sono state non nella parte di creazione della start up ma nella fase di crescita, proprio perché c’è un ecosistema quasi ostile alla crescita dell’azienda, una burocrazia pazzesca, un cuneo fiscale allucinante. Cosa consiglio ad un aspirante imprenditore? Di capire quello che davvero sa fare, quindi scoprire le proprie competenze distintive e trasformarle in un servizio utile, perché se il servizio è utile poi si vende. Quindi non bisogna innamorarsi della tecnologia del prodotto ma dell’utilità del servizio, con un atteggiamento orientato al cliente: bisogna riuscire a capire quale esigenza reale il prodotto va a soddisfare e allora si venderà da solo.
Nexus Digital è un evento incentrato sul trasferimento tecnologico, secondo lei cosa si potrebbe fare veramente per migliorare questo passaggio dal mondo della ricerca universitaria a quello delle imprese?
Serve più osmosi tra il privato e il pubblico, il privato deve poter investire pesantemente nella ricerca universitaria in modo che non ci sia questo divario, questo abisso tra questi due mondi che non riescono a parlarsi. Le persone che creano startup o spin-off sono persone eccezionali perché parlano entrambe le lingue: se loro riescono ad essere delle sinapsi e dei neuroni che connettono questi due mondi allora può funzionare.