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Accademia della Crusca, non basta il genere a battere il maschilismo

Il nuovo presidente Paolo D’Achille interviene a tutto campo su difesa della lingua, asterischi e schwa, cariche al femminile, social

Accademia della Crusca - © Salvatore Bruno - intoscana.it

Difesa della lingua, asterischi e schwa, cariche al femminile, social: Paolo D’Achille, il nuovo presidente dell’Accademia della Crusca ne ha per tutti. “La difesa della lingua italiana come segno di appartenenza a una civiltà è un valore generale che non può essere considerato appannaggio della destra. Se la destra lo sfrutta è perché la sinistra lo ha dimenticato, ma non va visto in chiave nazionalistica, ma in chiave di accoglienza, di inclusione e di unità” assicura Paolo D’Achille.

Il primo romano alla guida della storica istituzione fiorentina custode della lingua italiana succede a Carlo Marazzini, in carica per tre mandati, dal 2014. Per D’Achille “questo governo sembra essere più sensibile sul tema della difesa della lingua, i governi precedenti dovrebbero riflettere sul fatto di non aver fatto abbastanza“.

Ma la proposta che introduce sanzioni per chi usa parole inglesi nella pubblica amministrazione a suo giudizio non è necessaria. “Per limitare l’uso dell’inglese non servono multe né nuovi provvedimenti legislativi – dice – bastano linee guida e iniziative di promozione dell’italiano: la Crusca è pronta a collaborare con i ministeri per fornire consulenza“.

Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca – © Fanini/Accademia della Crusca

Ben venga quindi una maggior tutela dell’italiano del passato, ma senza demonizzare l’evolversi della lingua. “In Francia e in Spagna c’è una maggior difesa della lingua nazionale, anche per una storia di unità del Paese più lunga. In Italia qualcosa di più si potrebbe fare. A mio parere la politica potrebbe parlare meno inglese: le leggi non si scrivono in inglese, ma quando vengono diffuse si parla di Jobs Act, di Green Pass e di Stepchild Adoption La Crusca ha spesso suggerito alternative, ma la politica è stata sorda“.

Quanto al linguaggio di genere, l’Accademia si era già espressa suggerendo, ricorda D’Achille, di “evitare asterischi e schwa, di ammettere i nomi delle cariche al femminile e accettare un maschile grammaticale plurale inclusivo purché non marcato in senso maschilista“. Sulle cariche al femminile, però, c’è il caso di Giorgia Meloni che vuole essere chiamata ‘il presidente del Consiglio dei ministri’. “Penso che tutte le volte che c’è una prima volta – spiega D’Achille – lì il femminile fa fatica a essere accettato anche da chi ricopre il ruolo, perché si pensa che il femminile sia riduttivo. È accaduta la stessa cosa con la prima donna a ricoprire l’incarico di rettore. Quanto più le donne arrivano a queste cariche tanto più il nome al femminile diventa normale. Ma ricordiamoci che non basta il genere per cambiare il maschilismo della società“.

Infine sul linguaggio dei social e dei giovani il neo presidente non è preoccupato. “Nasce dalla voglia di riconoscersi come tali e di escludere gli adulti. Le parole giovanili hanno spesso vita breve perché i nuovi giovani le cambieranno di nuovo. Non mi preoccupano le parole nuove, ma piuttosto le strutture grammaticali provenienti dai calchi inglesi che si introducono nella lingua in modo surrettizio. L’importante, alla fine, è che i giovani siano in grado di usare l’italiano corretto nei contesti che lo richiedono“. Usando, per esempio, il congiuntivo che nonostante tutto ancora sopravvive. “La morte del congiuntivo fu indicata per la prima volta negli anni ’60, a quest’ora dovrebbe essere putrefatto, invece resiste ancora, meno usato nei contesti informali, ma lo scritto ne ha bisogno e lì resiste“.

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