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Alla giornalista digitale Giulia Ciancaglini il Premio Tutino Giornalista 2023

“Per me è un premio simbolico che io voglio dedicare al mio team e a tutte quelle persone il cui lavoro non viene riconosciuto, persone che lavorano con estrema attenzione e cura ma il cui nome non appare mai”

Giulia Ciancaglini

Il Premio Tutino Giornalista 2023 quest’anno è stato assegnato alla giornalista digitale Giulia Ciancaglini.

Classe 1997, giornalista professionista, Giulia dal 2020 fa parte del social team del Gruppo Gedi di Repubblica. 

Laureata in Lettere Moderne alla Sapienza di Roma, ha studiato all’Istituto di formazione al giornalismo di Urbino. Ha collaborato con LaStampa e lavora nell’ufficio stampa dell’Associazione per Santo Stefano in Ventotene Onlus.

È una giornalista dell’era digitale, svolge cioè una professione difficile e essenziale per il corretto funzionamento di una democrazia.

Nel mondo che ha affrontato la “transizione digitale”, quel mondo di relazioni e di incroci che anche Saverio Tutino aveva contribuito a creare, in questo nuovo mondo dove chiunque può pubblicare ciò che vuole, i giornalisti hanno ancora un ruolo cruciale.

È a loro che ci rivolgiamo per ricevere informazioni verificate, è a loro che chiediamo ogni giorno di selezionare e scegliere, seguendo criteri di libertà e indipendenza, etica professionale e deontologia.

Nella motivazione della giuria si legge: “per il modo in cui presidia ogni giorno il complesso sistema di relazioni e incroci nel mondo dei media dell’era digitale, assieme a una squadra di primo livello come quella del gruppo Gedi. Giulia esercita la sua professione con tutti i valori e i sentimenti propri dell’etica giornalistica, permettendo a milioni di lettori -che usano i social network come fonte primaria di informazione- di avere accesso a notizie corrette, oneste e limpide”.

Premio Pieve 2023

Ecco la nostra intervista

Ciao Giulia! Quando ha capito che volevi fare la giornalista?

Dico sempre che è stato un po’ per caso, ma in realtà quando ripenso a com’ero quando ero una bambina mi rendo conto che non è andata così. Ho studiato lettere moderne a Roma. Subito dopo la Triennale volevo buttarmi sulla scrittura creativa ed entrare nel mondo dell’editoria. Poi casualmente una mia amica mi ha parlato della scuola di giornalismo. Ho fatto il test senza pretese, sono passata, mi sono laureata e sette giorni dopo ho trovato casa ad Urbino e ho iniziato le lezioni. È stato tutto molto veloce. Mio padre un giorno ha tirato fuori dei vecchi filmini delle vacanze. Quando eravamo in viaggio io facevo finta di essere l’inviata, mentre lui mi riprendeva io raccontavo quello che succedeva, avevo sette-otto anni, quindi non è stato un caso.

Quando capisci che c’è una storia da raccontare? 

Da diversi anni lavoro in un giornale enorme Repubblica, non sono né l’unica, né la prima a trattare le notizie, anzi forse sono l’ultima. Mi occupo di comunicazione social della testata. Col tempo è stato per me un esercizio quello di raccontare le storie che non vengono raccontate, trovare quello che rimaneva rispetto a tutto ciò che era già stato scritto. Provare a trovare le storie che nessuno raccontava. Per esempio il carcere, un pezzo di mondo di cui non si parla quasi mai. 

Col tempo è stato per me un esercizio quello di raccontare le storie che non vengono raccontate, trovare quello che rimaneva rispetto a tutto ciò che era già stato scritto. Provare a capire le storie che nessuno raccontava

Qual è l’articolo o il servizio di cui vai più fiera?

Tempo fa alla fine della scuola di giornalismo ho avuto modo di fare un articolo sui numeri delle carceri italiane. L’ho scritto a quattro mani con un mio collega Giacomo Puletti ed è stata l’occasione per darmi tempo. Abbiamo potuto portare avanti un progetto e conoscere tante persone, raccogliere tante voci, analizzare dati (era un progetto di data journalism). Mi ha insegnato tanto, subito dopo il mio lavoro è cambiato ed è diventato tutto molto veloce. Quella è stata un occasione molto riflessiva in cui ci siamo presi dei mesi per lavorarci, una dimensione diversa e che adesso un po’ mi manca. 

Quali sono secondo te i rischi e i vantaggi dei social?

È una sfida, è un momento in cui bisogna esserci. Un giornale che vuole parlare a tutti, soprattutto ai più giovani non può non usare i social e capirne le dinamiche. Il linguaggio dei social non è lo stesso di un giornale, bisogna sperimentare. Stiamo cominciando a capire adesso come si fa la comunicazione giornalistica sui social. I rischi ci sono e sono anche banali, come limitarsi alla superficie delle notizie, l’obbligo di sintesi e di selezione, il clickbaiting cioè giocare con i lettori in maniera non pulita. Ribadisco che è importante esserci con un minimo di attenzione perchè noi pensiamo che gli utenti siano numeri invece sono veri e propri lettori che hanno delle reazioni. È un contatto diretto con gli utenti. 

Si parla molto in questo periodo delle intelligenze artificiali e di come cambieranno il nostro mondo, ChatGpt sostituirà il giornalista?  

Ho giocato un po’ con ChatGpt per capire come funziona, penso che per un occhio attento è facile riconoscere subito se un articolo non è frutto di grandi elaborazioni personali. Spesso quando si tratta di scrivere una semplice notizia recuperata da un’agenzia, nella velocità del mondo di oggi, alcuni deskisti dei principali siti web non fanno un lavoro molto diverso da quello che fa ChatGpt. Ma c’è un altra parte da considerare: i giornalisti spesso vengono inviati, scrivono commenti e io credo che tutto questo resisterà, perchè dipende da qualità che sono umane. La stessa cosa succede sui social perchè ChatGpt non può pensare a un palinsesto o a una strategia. Può scrivere brevi testi che possono servire da didascalie ma non potrà mai sostituire una mente umana.

Cosa vuol dire ricevere questo il Premio Tutino Giornalista per te?

Per me è stata una sorpresa, sono molto onorata. Il team che coordina Repubblica è fatto di persone che lavorano dietro le quinte, la mia firma raramente appare anche se faccio un lavoro quotidiano. È straniante ricevere un premio per un lavoro che spesso resta anonimo in un mondo che è fatto di firme e autorialità. Per me è un premio simbolico che io voglio dedicare al mio team e a tutte quelle persone il cui lavoro non viene riconosciuto, persone che lavorano con estrema attenzione e cura ma il cui nome non appare mai. Dietro i social ci sono persone che permettono alle notizie di arrivare a tante persone, è un lavoro molto importante. 

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