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Il Ratto delle Sabine si rifà il look con una manutenzione ‘straordinaria’

Un’occasione unica per spiare dal ‘buco della serratura’ il lavoro dei restauratori della Galleria dell’Accademia di Firenze

Manutenzione del Ratto delle Sabine, Galleria dell’Accademia, Firenze

Morbidi pennelli e leggeri aspiratori di polvere tenuti a debita distanza, sono questi gli strumenti utilizzati dalla restauratrice per ‘rifare il look’ del modello del Ratto delle Sabine del Giambologna conservato nella Galleria dell’Accademia di Firenze. Inviati speciali a porte chiuse nel museo fiorentino abbiamo avuto l’occasione di ‘spiarla’ mentre munita di questi delicatissimi accessori si è arrampicata sul ponteggio montato per l’occasione e ha potuto eseguire le operazioni di ‘spolveratura’ della statua.

Questo intervento data l’estrema fragilità dell’opera può essere eseguito non più di quattro volte l’anno. Con l’ausilio di un ponteggio mobile che permette di arrivare ad avere una visione ravvicinata dell’opera, si controlla e si documenta anche fotograficamente lo stato di conservazione di tutte le superfici.

In un momento successivo di rielaborazione i dati che emergono vengono confrontati e letti con quelli archiviati negli anni precedenti in modo da cercare di comprendere al meglio eventuali problematiche o situazioni conservative, nonché con la corposa documentazione del restauro eseguito tra il 2012 ed il 2013 grande occasione per una approfondita e sofisticata campagna diagnostica e di ricerca storica.

Il commento della direttrice della Galleria dell’Accademia Cecilie Hollberg

Il Ratto delle Sabine: la storia

Il modello del Ratto delle Sabine fu realizzato dal Giambologna fra il 1579 e il 1580 circa nella bottega fatta costruire appositamente per lui dal Granduca in Palazzo Vecchio. Fra il 1588 e il 1687, venne trasferito nella nuova bottega dell’artista in Borgo Pinti. Lì rimase fino al 1784 quando passò nei locali dell’Accademia di Belle Arti e quindi, dal 1911, nella Galleria dell’Accademia.
Il gruppo fu concepito dal Giambologna senza un contenuto iconografico né una commissione specifica, ma solo come esercizio di studio sul tema della relazione fra due o più corpi in movimento nello spazio tridimensionale. Fu l’erudito Vincenzo Borghini che consigliò a Giambologna il titolo attuale. Con questo modello preparatorio l’artista studiò nei minimi dettagli il gruppo da scolpire nel marmo, questo è, infatti, il modello 1:1, in terra cruda impastata con acqua fibre vegetali e animali e piccoli frammenti lignei, servito per realizzare la versione che si può ammirare ancora oggi sotto la Loggia dei Lanzi a Firenze.

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