Cultura /L'INTERVISTA

In Toscana un Archivio di oltre 9 mila diari, Natalia Cangi: “Il Premio Pieve mi ha cambiato la vita”

Intervista alla direttrice organizzativa della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, la finale del Premio Pieve 2021 si terrà domenica 19 settembre

“Nessuna storia è piccola” questo è lo slogan dell’Archivio di Pieve Santo Stefano in Toscana che raccoglie oltre 9 mila diari, memorie e lettere provenienti dalla penna di persone che hanno affrontato spesso prove durissime nella loro vita, la guerra, la malattia, l’emarginazione, il razzismo, la violenza familiare oppure l’amore, i viaggi, esperienze bellissime e potenti che hanno deciso di mettere su carta.

Una testimonianza di valore inestimabile, tanti sguardi sull’Italia e sul mondo che diventano memoria pubblica e raccontano la storia di tutti noi.

L’archivio fondato dal giornalista Saverio Tutino nel 1984 che ha anche un piccolo museo nato nel 2013 dove sono visionabili alcuni diari in forma digitale è tutto questo e anche molto di più. Ogni anno infatti si arricchisce di nuovi contenuti grazie ai diari che vengono continuamente inviati al Premio diaristico Pieve Santo Stefano, la cui 37ª edizione si terrà dal 16 al 19 settembre 2021.

La “custode” dell’archivio è Natalia Cangi nata a Pieve Santo Stefano 60 anni fa, aveva un posto fisso in banca, che ha lasciato nel 2004. Poi per cinque anni ha lavorato all’università di Arezzo, finché nel 2010 ha preso il posto di Loretta Veri come direttrice della Fondazione.

Ci racconta così com’è cominciata la sua esperienza: “Io sapevo dell’esistenza dell’Archivio, ma non mi sono avvicinata subito. Mi ricordo la premiazione avvenuta nel 1991 di Tommaso Bordonaro e Natalia Berla, lei purtroppo non era presente perchè morta suicida a San Patrignano. Mi fermai ad ascoltare nella piazzetta e mi ricordo quest’uomo Bordonaro che era venuto dagli Stati Uniti a Pieve Santo Stefano senza sapere se avesse vinto o meno. Questa storia mi commosse perchè lui aveva buttato il cuore oltre l’ostacolo superando l’oceano.

Fatto sta che quell’anno stesso il 1991 mia sorella portò a casa la fotocopia della storia di Dan Rabà un ebreo che viveva ad Aifa in Israele che però aveva anche radici italiane. Il suo diario che raccontava gli anni ’70 a Milano mi aveva molto intrigato. Io aiutavo a decifrare la calligrafia perchè era un testo manoscritto. Aveva una grafia molto particolare che rifletteva gli stati d’animo dello scrivente. Dopo questa esperienza chiesi di far parte della commissione di lettura del premio e per me è stata una cosa fatale perchè ne faccio parte ancora oggi dopo 30 anni. In questi trent’anni mi sono passate davanti qualche migliaia di storie che hanno cambiato la mia vita.

Nei diari spesso troviamo storie tragiche, guerre, viaggi, cosa spinge una persona a scrivere un diario? Una vita difficile oppure non solo questo?

Decisamente non solo questo, ci sono diari che io chiamo “Diari dell’urgenza”. Il ‘900 è il secolo che meglio ha rappresentato la scrittura dal basso, quella popolare diciamo, perchè ci sono state le due guerre, il grande tema dell’immigrazione italiana. Questo ha trasformato persone che mai avrebbero pensato di prendere una penna in mano e scrivere la loro storia in persone che sono diventate testimoni. Il tema dell’urgenza vale sempre, anche oggi per esempio per i diari della pandemia. Dall’anno scorso ne abbiamo ricevuto un buon numero, circa 120 testimonianze che parlano del covid-19.

Se stai vivendo un momento particolare e hai confidenza con la pagina, oppure con la tastiera del computer, ti sentirai quasi obbligato dalla storia che stai vivendo a scriverla. Però ci sono anche testi che invece non hanno questa forte connotazione, sono quelli delle persone che hanno superato una certa età, in quel caso i ricordi si fanno dolci. Quello dell’archivio è un mondo complesso, sono oltre novemila storie che abbiamo intercettato negli ultimi 37 anni. Novemila persone che noi chiamiamo i “cittadini di carta” di Pieve Santo Stefano che hanno una loro vita, che non si è mai fermata.

Il diario di Clelia Marchi scritto su un lenzuolo, Piccolo Museo del Diario a Pieve Santo Stefano

Quali sono i temi che vengono affrontati più spesso nei diari?

Noi siamo un archivio di persone, quello che loro hanno condiviso con l’archivio è la loro vita. Spesso parlano della famiglia, è uno dei temi molto presenti, il lavoro, i figli, la scuola, le passioni politiche, la fede, la religiosità, l’amore. C’è la vita dentro.

Raccontaci il “dietro le quinte” del Premio Pieve, so che è un lavoro mastodontico che ogni anno si rinnova per scegliere i finalisti

Il lavoro parte da ottobre. Noi chiuderemo l’edizione 2021 il 19 di settembre e apriremo l’edizione 2022 a metà ottobre. La apriremo iniziando a leggere i nuovi arrivati. Ti posso svelare che ci sono persone della commissione di lettura che è fatta da volontari e volontarie che si sono già portati avanti con il lavoro e durante l’estate hanno preso confidenza con i nuovi arrivati. E’ un lavoro estremamente affascinante. Saverio Tutino si è dilungato moltissimo sul ruolo della commissione di lettura, è un ruolo determinante per la nascita dell’archivio perchè tutto nasce da lì. Le persone leggono, si confrontano settimanalmente. In tempi di pandemia ci siamo collegati online ogni settimana, tutti i lunedì alle 17.30. Di solito arriviamo a fine giugno con una lista di finalisti, ognuno di noi si affeziona a un autore o un’autrice. Poi inizia l’altro lavoro che è quello dell’organizzazione del Premio. Facciamo un po’ tutto in casa, nel tempo abbiamo formato persone che sanno di scrittura, progettazione, fundraising, comunicazione e combinando tutte queste professionalità insieme nasce il Premio. La macchina è complessa. L’Archivio è una comunità di persone dove i diaristi hanno il posto principale, se non ci fossero loro non ci saremmo noi.

In che modo il Premio Pieve ha cambiato la vita delle persone?

Ognuna di queste storie ha un’altra storia oltre quella raccontata nelle pagine, c’è sempre un “dietro le quinte”. Come per esempio la storia dei Quaderni di Luisa T. Io credo che il Premio e l’Archivio per lei siano stati fondamentali, ma questo accade anche a tante altre persone che ci dicono che trovano qui una ragione di vita. Quella di Luisa è una storia che sta a cuore a tutti noi, una storia di violenza e di isolamento ma anche di riscatto. Il suo diario è arrivato a Pieve Santo Stefano tramite il parroco che fece da intermediario. La giuria del 1991 fu molto colpita da questo diario e voleva farlo vincere. Ma non fu possibile perchè Luisa e il parroco misero un ‘sigillo’ e bloccarono la premiazione. Il diario è rimasto chiuso per tanti anni, fino alla notte d’inverno in cui Luisa scappò in ciabatte da una finestra perchè il marito la rincorreva con un coltello. La sua vita è stata dura anche dopo, a 50 anni ha dovuto trovare un lavoro. Pensa che un giorno ci siamo sentite e mi ha detto ridendo che a 70 anni era riuscita a comprare una casa. Lei ha vissuto la seconda parte della sua vita come se fosse la prima. Un archivio può cambiare la vita delle persone.

Natalia tu oggi hai tempo di tenere un diario?

Lo facevo quando ero molto più giovane, annotavo cose che mi sembravano delle ingiustizie. In altri momenti annotavo le mie crisi adolescenziali. Poi ho smesso perchè non avevo ancora capito cosa volesse dire tenere un diario e farlo diventare utile per tutti noi. Non avevo questa consapevolezza. Però penso sempre di riprendere. Questa mia vita io prima o poi la racconterò. La mia vita come quella di chiunque altro non è piccola.

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