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© Stefano Vaja

Cultura /

La conquista dell’impossibile: Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza

Il fondatore della Compagnia di Volterra ci racconta un viaggio iniziato 30 anni fa che ha trasformato il carcere in una delle realtà teatrali più importanti d’Italia

 

Armando Punzo 32 anni fa ha preso una decisione che gli ha cambiato la vita. Ha deciso di chiudersi spontaneamente nel carcere di Volterra e portare il teatro ai detenuti. Ha deciso di non giudicare i carcerati per le loro colpe, i crimini di cui si sono macchiati, ma di andare oltre. Nasce così la Compagnia della Fortezza, che ogni anno, superando mille difficoltà logistiche mette in scena uno spettacolo teatrale. Una realtà che ha cambiato per sempre il borgo toscano proiettandolo su un palcoscenico internazionale, perché da tutto il mondo vengono qui in Toscana in estate per vedere le opere di Armando Punzo. Una compagnia che è stata capace di forgiare anche un attore Aniello Arena ex membro della camorra, adesso in regime di semilibertà che nel 2012 ha partecipato al film ‘Reality’ di Matteo Garrone e ha vinto il David di Donatello come miglior attore protagonista.

La scelta di Armando Punzo è quella di dedicarsi a loro, i detenuti che spesso scontano l’ergastolo, ripartendo dall’essere umano per proiettarsi in una dimensione in cui i confini del carcere si abbattono e l’impossibile diventa possibile. Ma non è finita qui, dopo oltre 30 anni di attività, grazie alla Regione Toscana la Compagnia di Volterra affronta una nuova sfida, la costruzione di un teatro stabile dentro il carcere. Questo permetterà di poter lavorare in un ambiente capace di contenere più persone e non nelle celle come avviene ora, permetterà di ospitare altre compagnie con i loro spettacoli, permetterà di poter mettere in scena rappresentazioni anche in inverno e non solo in estate e permetterà di iniziare anche un programma di formazione per i detenuti ai mestieri del teatro.

Anche nel 2020 come ogni anno la Compagnia della Fortezza nonostante le limitazioni del Covid, ha proposto due spettacoli: Naturae. La vita mancata – primo quadro in scena dal 28 luglio al 2 agosto nella Fortezza medicea e Naturae La valle dell’innocenza – secondo quadro, l’8 e 9 agosto nel Padiglione Nervi dell’ex Salina di Stato. Un’opera in due parti che prosegue in viaggio nell’opera di Shakespeare e di Borges che si concluderà nel 2021.

Ciao Armando si è concluso un ciclo di 30 anni, 30 anni fa ti saresti mai immaginato di arrivare fino ad oggi?

No era impossibile da immaginare. All’inizio era un’idea forse ben radicata, molto forte, quella che avevo, ma non avrei mai potuto immaginare di realizzare quello che ho realizzato, assolutamente. É stata una sorpresa e uno stupore continuo, un continuo affiorare di possibilità incredibili, che hanno fatto sì che io resistessi 32 anni nel carcere di Volterra e ancora sono qui.

Il tuo percorso mi ricorda Werner Herzog un regista tedesco che ha realizzato film quasi impossibili, cosa serve per portare avanti un’impresa di questo tipo?

Io credo che ci sia bisogno della necessità di fare questo, ed è una necessità da mettere a fuoco, da avere chiara dentro di sè. Ci deve essere qualcosa che non ti torna in questo mondo, nel mondo in cui vivi. Se non hai questa necessità è difficile affrontare qualsiasi cosa. Chiunque credo prova a fare qualcosa incontra delle difficoltà, il fatto di resistere così a lungo e di andare in profondità, continuare, insistere è dettato solo dal fatto che c’è una necessità che viene messa a fuoco, c’è una ferita, qualcosa che non ti piace e tu pensi che attraverso questo lavoro, lo stare qui, puoi far mettere a fuoco delle zone d’ombra anche ad altri oltre che a te stesso.

Tu hai detto una volta che ‘Il male è trasparente’, cosa significa?

Stando qui da 32 anni quante volte mi è capitato che persone hanno espresso giudizi, si sono messe contro, mi hanno fatto domande con cui volevano mettermi in difficoltà. Io mi sono chiesto spesso se ero completamente pazzo io o se le persone non arrivavano a capire, si fermavano un attimo prima. Il male può essere un muro contro cui sbattere, da non attraversare. Ma se io sto lavorando con uno dei miei attori il male deve essere per forza trasparente, io devo andare oltre le azioni, devo vedere quelle che sono le potenzialità della persona, le cose che stiamo facendo oggi insieme. Se metto davanti il male, finisce tutto, io faccio teatro non faccio l’assistente sociale, altrimenti non farei nulla. Bisogna andare oltre quello che si pensa sia l’altro, non solo perchè siamo in un carcere. Bisogna andare oltre a come si presenta, l’altro, bisogna riuscire a trovare sempre il meglio nell’altro, sennò è la fine.

Ora si apre un nuovo scenario, quello del teatro stabile. In pratica cosa succederà nei prossimi anni?

Io incrocio le dita, adesso siamo ai saggi archeologici che sono preliminari. Si spera che tutto vada bene. Significa che dopo 20 anni che lavoro a questa idea finalmente potremo cominciare ad avere un progetto per una costruzione all’interno del carcere. Ma questo non per avere una ‘casa’, non perchè il regista vuole il suo teatro, perchè ci permetterebbe di fare un lavoro più in profondità durante tutto l’anno, anche tutto l’inverno. Io adesso lavoro in una stanza, una cella-teatro di tre metri per dieci. Siamo in tantissimi a lavorare, ma non possiamo lavorare tutti insieme, siamo sparpagliati, lavoriamo all’aria aperta, oppure in una stanza. Abbiamo limiti numerici. Spero di avere un teatro anche per poter lavorare sulla formazione ai mestieri del teatro, andare molto più in profondità rispetto alla formazione professionale degli attori, ma anche macchinisti, elettricisti, fonici. Potremmo anche ospitare compagnie esterne e presentare i nostri lavori anche nel periodo invernale.

Parlando di questi 30 anni tu l’hai definito un viaggio di amore

É evidente che è un viaggio d’amore, quando si parla di carcere a volte si carica questa esperienza di una serie di cose che non c’entrano assolutamente nulla. É semplicemente la possibilità per l’uomo di scoprire nuove possibilità. Inventarsi, non rimanere fermi di fronte alla questione carcere, detenuto, cronaca nera. Quella è la morte, non c’è niente lì. Mettere in discussione tutto questo produce vita, produce possibilità e io penso che ce ne sia bisogno oggi ancora più di prima. Io sono cresciuto qui umanamente e artisticamente in questo luogo. La mia formazione di regista la devo tutta alla Compagnia della fortezza.

Foto di Gea Testi

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