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Viaggio alle origini della comicità livornese

Sei punti per spiegare quali sono le ragioni storiche dell’ironia caustica che caratterizza gli abitanti di questa città toscana

Livorno, Quartiere Venezia

Le leggi ‘livornine’
La città di Livorno è nata da una mescolanza di tante etnie diverse. Le leggi livornine furono emanate dal granduca di Toscana nel 1591 e nel 1593, per richiamare a Livorno una popolazione attiva in grado di favorire lo sviluppo economico della città e dell’economia marittima del Granducato di Toscana. L’8 ottobre 1590 Ferdinando I de Medici emanò una legge per incentivare la crescita demografica della città. Invitò a stabilirsi a Livorno uomini e donne con la promessa di immunità per i debiti contratti e i delitti commessi precedentemente. Le leggi livornine, unite all’istituzione del porto franco e alla neutralità del porto, favorirono l’afflusso in città di numerosi mercanti stranieri: greci, francesi, olandesi-alemanni, armeni, inglesi, ebrei ed altri. Sin dal Seicento quindi Livorno fu una città cosmopolita, multirazziale e multireligiosa.

La rivalità con Pisa
La rivalità tra Pisa e Livorno è una realtà che accompagna da sempre le due città. Le origini di questa rivalità sono antichissime, fatte risalire all’epoca dei Medici. Pisa e Livorno devono i propri scontri alla nascita del porto di Livorno, voluto da Cosimo I de’ Medici a metà del XVI secolo. I Medici lavorarono con cura sulla costruzione del porto, con l’intento di rendere Livorno una delle realtà commerciali più importanti a livello italiano, di respiro internazionale per la circolazione di mercanti, avventurieri e marinai. Pisa, era considerata una Repubblica Marinara di prestigio assoluto l’XI ed il XV secolo, ma stava attraversando un periodo di recessione dovuto alle molte battaglie che l’avevano vista coinvolta. Per questo l’incremento del porto di Livorno suonava come una minaccia alla sua forza, un affronto che i pisani non potevano sopportare e che da quel momento ha messo le due città una contro l’altra. Il tempo passa, ma gli screzi restano. Trovarsi a Livorno o a Pisa vuol dire oggi vivere un clima di astio tra le due bellissime città toscane, ovviamente all’insegna dello scherzo nel tipico spirito toscano.

Le teste di Modigliani
Lo scherzo delle Teste di Modigliani è la storia di tre giovani livornesi che con coraggio e un pizzico di incoscienza decisero di sfidare i critici d’arte. È stata una delle beffe più famose del mondo e ha ispirato anche una canzone di Caparezza “Teste di Modì”. Nell’estate del 1984 in occasione del centenario della nascita di Modigliani la direttrice del museo d’arte moderna di Villa Maria Vera Durbé con la collaborazione del fratello Dario, sovrintendente alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, decise di far dragare i canali a causa di una vecchia leggenda: Modigliani avrebbe gettato nei fossi livornesi quattro sculture perché da lui stesso ritenute insoddisfacenti. Tre giovani livornesi Michele Ghelarducci, Pietro Luridiana e Pierfrancesco Ferrucci decisero di scolpire una testa con i tratti tipici di Modigliani, e gettarla nei fossi. Nello stesso momento anche lo scultore Angelo Froglia a insaputa degli altri tre, decide di buttare nel fiume altre due teste. Un doppio inganno che per 40 giorni fece esultare Livorno che crede di aver ritrovato le preziose opere di Modigliani. Finché, all’inizio di settembre, su Panorama venne svelata la verità.

Il Vernacoliere
Dito nell’occhio dei potenti, incubo di ogni capo di stato degli ultimi trent’anni di storia italiana il Vernacoliere nato nel 1982 dalle ceneri di Livornocronaca è il primo e unico esempio di giornale satirico dialettale. Il giornale conta 36mila copie a numero diffuse a macchia di leopardo in tutte le edicole della Toscana ma può vantare migliaia di abbonati in Italia e all’estero. Il direttore Marco Cardinali da 33 anni è l’anima e la mente pensante dietro a questo successo editoriale. Sulle sue pagine sono nati personaggi indimenticabili come il caustico Don Zaucher.

I cantautori livornesi: Piero Ciampi e Bobo Rondelli
Livorno è stato nel corso degli ultimi cinquant’anni terreno fertile per la nascita di cantautori ‘portatori sani’ di quella comicità caustica che è ormai il marchio di fabbrica della città toscana. Il più famoso è certamente Piero Ciampi nato a Livorno nel 1934 è famoso per le sue canzoni malinconiche ma anche estremamente ironiche. Fortemente influenzato dalla chanson francese ha collaborato con Gino Paoli, Nada, Dalida, Ornella Vanoni. Dopo la sua morte avvenuta prematuramente nel 1980 gli sono stati dedicati moltissimi omaggi. Uno dei cantautori che a lui spesso si riferisce è Bobo Rondelli, un altro livornese doc che ama definirsi ‘famous local singer’. Rondelli inizia la sua avventura musicale nel gruppo degli Ottavo Padiglione chiamato così perchè prende ispirazione dal reparto di psichiatria dell’Ospedale di Livorno. Anche nel suo caso, i suoi pezzi uniscono in una trama inscindibile, scherzi, prese in giro, e sentimenti struggenti e intensi. Famoso anche come imitatore tra gli altri di Marcello Mastroianni.

Il cacciucco e il ponce alla livornese
Il cacciucco è il vero e proprio re della cucina livornese. Non si può andare via da Livorno senza aver assaggiato questo piatto a base di pesce dal gusto unico e deciso che si dice abbia forse origini fenicie. Secondo la ricetta tradizionale all’interno di questa zuppa si trovano ben tredici varietà di pesce, molluschi e crostacei. I vari pesci vengono cotti in tempi diversi, poiché ogni tipologia ha tempi di cottura da rispettare, affinché si insaporisca bene col pomodoro. C’è anche una leggenda livornese che racconta le sue origini: un pescatore della zona, che era andato a pesca con la sua barca, fu improvvisamente colto da una tempesta ed affogò. Avendo lasciato la moglie e i figli nella miseria, per la fame i piccoli andarono al porto e chiesero ai pescatori del pesce per potersi nutrire. Ogni pescatore offrì del pesce ai bambini: chi un polpo, chi una cicala di mare, chi una seppia. Tornati a casa, la madre preparò una zuppa con questi pesci e la rovesciò poi in una zuppiera dove aveva precedentemente sistemato delle fette di pane.
Oltre ai piatti tradizionali di pesce, esiste un’altra perla della cucina livornese assolutamente da non sottovalutare, si tratta di una vera bevanda la cui nascita affonda le radici nella storia di Livorno. Anticamente il ponce alla livornese veniva bevuto da chi soffriva di depressione oppure da chi aveva la febbre molto alta. Narra un’altra fantastica leggenda, che approdò un giorno una nave americana in cattive condizioni che trasportava rhum e caffè. Come era successo per l’olio e i ceci durante la battaglia tra pisani e genovesi, il rhum durante il viaggio si era mescolato con il caffè. I commercianti furono costretti quindi a vendere il caffè ad un prezzo stracciato, ma il mix rhum caffè ebbe successo. Fu così infatti che nasce il ponce alla livornese, con l’aggiunta di una buccia di limone che in principio nei bar aveva lo scopo di disinfettare il bicchiere. Ben presto divenne un uso consolidato quello di servire il ponce con uno spicchio di limone. Il ponce alla livornese quindi non è altro che un mix di liquore e caffè caldo, unito a una buccia di limone e un cucchiaino di zucchero per ogni tazzina di caffè. Il tutto viene fatto ristringere all’interno di un pentolino, prima di servirlo all’interno di un piccolo bicchiere.

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