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L’orgoglio silenzioso di Firenze

Le strade del centro storico semideserte, tanti negozi ancora chiusi, altri riaprono con coraggio. È una città ancora surreale quella che con fatica e orgoglio prova a rialzare di nuovo la testa

Ristoratori Firenze

Qualcuno ha parlato di un’Italia che sarebbe tornata a correre, c’è chi l’ha definita l’Italia che resiste, l’Italia che riparte. Forse. Per adesso non ci sono maratoneti in giro, neppure velocisti. C’è piuttosto un’Italia zoppa che prova a leccarsi le ferite ed a camminare, seppur con grande, immensa fatica.

Non è come accendere un’auto, far circolare benzina e far ripartire il motore. Prendere, andare, ingranando le marce, dando spinta all’acceleratore. Fosse facile.

Siamo rimasti serrati nelle nostre case per due mesi ad aspettare un giorno che oggi è arrivato, dopo annunci, discussioni, dpcm e ordinanze. Poi questo ‘libera tutti’ forse un po’ ci ha spiazzato. E siamo ancora timorosi ad infilare il naso fuori casa ed anche a metter mano al portafoglio, in fondo la burocrazia ha tagliato le speranze pure agli arcobaleni dei bambini ancora appesi fuori da qualche finestra.

A Firenze oggi piove. Si respira a fatica sotto la mascherina in un centro semideserto. Alle poste di Via Verdi ci sono tre clochard stesi a terra, niente mascherina, a loro non serve, portano addosso di anticorpi del dolore. I negozi sono per la maggior parte chiusi, saracinesche serrate come quelle di tanti ristoranti. Altri sono aperti ma i commessi stanno fuori, vicino alla porta ad aspettare l’arrivo di qualche coraggioso amante dello shopping. C’è poi chi sta sanificando, riaprirà domani o tra qualche giorno. Meglio aspettare ancora un po’ per non incorrere in qualche multa o sanzione pesante che li metterebbe definitivamente in ginocchio.

Non siamo abituati a vedere Firenze così. Ci siamo lamentati per anni dell’invasione del turismo di massa, il classico gregge al pascolo da educare che sporcava le nostre città. Viaggiatori di basso rango parcheggiati sulle scalinate delle chiese a bivaccare con qualche panino plastificato tra le mani e una lattina di coca appoggiata a terra. Li guardavamo sdegnati, noi che sul sagrato del Duomo avremmo preferito portarci un calice di Chianti Riserva e un panino gourmet tartufato di Procacci.

Strusciavano a terra le loro infradito di gomma sulle nostre strade lastricate di storia, allungando verso il cielo selfie stick cinesi da 5 euro con sfondo Cappelle Medicee. A volte ci siamo chiesti perché svenderci così. Ci siamo detti che meritavamo di più. Siamo Firenze. Meritavamo viaggiatori di classe che apprezzassero i nostri capolavori, quella cupola senza uguali nel mondo, i nostri caffè, la cucina che per noi snob di città non può rappresentare solo sollazzo per lo stomaco ma prima di tutto nutrimento dei sensi e della mente. Avremmo preferito gente che ci scegliesse per vivere da noi esperienze autentiche. Sì, ma quali? Quale autenticità può regalare un centro storico svuotato dai suoi residenti, che vive solo per il business di quelli con le infradito che ingurgitano stucchevoli waffel alla nutella o ancora di quelli con gli occhi a mandorla e pluricarte di credito oro e platino che preferiscono un tour verso The Mall che ad una ‘gita’ culturale in Piazza della Carmine alla Cappella Brancacci?

Siamo diventati anche questi. Le nostre case si sono trasformate in camere per i viaggiatori da vendere facilmente su internet. Qualcuno aveva lanciato l’allarme ma si è preferito cavalcare il cambiamento invece che governarlo.

E oggi Firenze è un pugno al cuore, sola a gestire una pandemia e una crisi che toglie il fiato. Con le sue strade semideserte, i monumenti che rimangono lì, ancora più maestosi a ricordarti chi sei, qualche bottega d’artigianato che è resistita a chi arriva con le valigette cariche di quattrini ed ha detto no, rimango a mangiare la polvere delle foglie d’oro che stendo sulle cornici o su qualche mobile antico.

Firenze per sua fortuna ha nei geni il silenzio orgoglioso di chi a capo chino ritrova la retta via. E oggi – nel giorno della così tanto invocata fase 2 bis – accoglie così chi passeggia per le sue strade, con il lavoro a bassa voce che riprende lento senza salti nel vuoto. Riparte a testa bassa, tra il rumore del phon di qualche parrucchiere e l’odore di menta che arriva dai vecchi barbieri, malinconica sorpresa in qualche viuzza dove non batte il sole. I mega store dei brand della moda a basso prezzo sembrano oggi troppo grandi per noi che invece del nostro essere ‘piccoli’ abbiamo fatto la nostra cifra stilistica.

Piccoli e internazionali. Sapevamo vedere dove gli occhi degli altri non arrivavano.

Oggi non ho incrociato occhi lungimiranti: solo qualche giovane con il monopattino, ultima moda passeggera figlia dei tempi della pandemia, due fanatici bikers armati di mountain bike all’ultimo grido e poi ho trovato lui. Filippo Brunelleschi. Incastonato come un gioiello raro in una nicchia in Piazza Duomo guardava verso l’alto osservando la sua Cupola. Questo ci serve oggi per ripartire, servono uomini che sanno guardare lontano e dar vita a  quello che nessuno avrebbe pensato mai di veder costruito. E invece Firenze è una di quelle città che sa dare gambe e fiato anche all’impossibile, che ha saputo lottare e rivoluzionare lo stato delle cose. Sarà così anche stavolta? Forse.

Fuori da un negozio c’è un cartello scritto a pennarello, in fiorentino: ‘Chiuso fino a quando un si sa’. In fondo il negoziante ci ha visto lungo del doman non v’è certezza’. Il Magnifico oltre cinquecento anni dopo ancora insegna al suo popolo.

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