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© Poti Pictures

Cultura /

Poti Pictures la casa di produzione cinematografica dove si scardinano i pregiudizi un ciak alla volta

L’intervista a Daniele Bonarini, fondatore e regista della realtà aretina. La storia dei suoi protagonisti: professionisti del cinema con disabilità intellettive

“Noi non siamo speciali, siamo fuori dal comune”.

Con queste parole manifesto inizia il nostro viaggio nella Poti Pictures, la prima casa di produzione cinematografica sociale al mondo. Di base ad Arezzo, dal 2005 l’attività è lanciata nell’universo del cinema con spot, fiction, cortometraggi e lungometraggi con attori con disabilità intellettive.

Più di 150 riconoscimenti tra premi e selezioni ufficiali a festival nazionali ed internazionali di cinema, di cui 25 solo nell’ultimo anno con il cortometraggio “Uonted!”, selezionato ai Nastri d’Argento 2020 e all’Aesthetica Short Film Festival, evento BAFTA-Qualifying, il prestigioso Oscar britannico.

Come le più belle storie di successo anche la Poti Pictures nasce per gioco, all’interno dell’associazione di volontariato “Cenacolo Francescano” e  nel 2015 entra a far parte della Cooperativa Il Cenacolo, nata anch’essa dall’omonima associazione, che dal 1987 si occupa di attività e inserimento lavorativo per persone con disabilità.

La Poti Pictures oggi però è una “cosa seria”. Una casa di produzione, una scuola di cinema e una vera e propria Academy che promuove le abilità di ogni singola persona con un metodo formativo unico, studiato e riconosciuto dal dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Siena, dove stare in classe significa vivere uno scambio tra attori e docenti in un processo di crescita condiviso. Una sperimentazione dove i limiti oggettivi della disabilità non sono qualcosa da nascondere o modificare, ma da accogliere e mostrare con intelligenza e ironia. Per un cinema che giorno dopo giorno possa educare il pubblico all’inclusione sociale attraverso la normalizzazione della disabilità.

Il regista Daniele Bonarini con l’attore Tiziano Barbini sul set. ©Poti Pictures

Un nuovo modo di fare cinema che punta in alto, verso un nuovo “Umanesimo culturale, sociale e artistico” – come ricorda il fondatore della casa cinematografica, Daniele Bonarini. La Poti Pictures, nata dall’Alpe di Poti di Arezzo, mira alla vetta più alta di tutte: la mitica Hollywood.

Daniele, che cos’è la Poti Pictures e come definiresti il vostro approccio alla disabilità?
È una casa di produzione. Noi facciamo Cinema. Non è arte terapia. Non vogliamo curare nessuno. Noi portiamo queste persone fuori di casa e fuori dall’appiattimento dei centri diurni. Li sfidiamo a superare quei confini che nemmeno loro pensavano di poter varcare. Perché se è tutta la vita che ti legano le scarpe, non ci provi nemmeno una volta a legartele da solo. Se invece ti porto su un set e giorno dopo giorno ci stiamo insieme, facciamo formazione e ci si diverte tu cominci a vedere il mondo diversamente. Prendi consapevolezza di te stesso e diventi un attore professionista. E la diversità non è quella della disabilità, ma è avere un sogno da condividere. Alla fine delle riprese magari non ti saprai comunque legare le scarpe da solo, ma avrai iniziato a sognare e avrai imparato un lavoro.

Come nasce la Poti Pictures?
Dall’Alpe di Poti, la montagna di Arezzo dove una volta all’anno con la comunità dell’Ordine Francescano Secolare dei Cappuccini facciamo una settimana di vacanza con i ragazzi dell’associazione. Fin dai tempi della scuola li ho accompagnati. Con la mia telecamerina con le cassette ci divertivamo a fare la parodia dei grandi colossal hollywoodiani. Era un gioco, un modo per stare insieme e avere un ricordo dell’estate passata, da riguardare all’inizio della gita l’anno seguente. Poi ho studiato cinema, la mia grande passione, sono tornato ad Arezzo e abbiamo continuato, con qualche strumento in più. Da allora non abbiamo più smesso.

Come definiresti i vostri film?
Divertenti, potenti e per tutti. Le storie che raccontiamo sono così perché i sogni, le paure e i desideri umani sono universali. Toccano il cuore delle persone perché sanno emozionare e parlare di disabilità o autismo diventa subito superfluo. Sono le nostre storie che ci rendono umani.

Chi sono gli attori della Poti Pictures?
Sono dieci ragazze e ragazzi. Che abbiano 20 o 60 anni non importa, per noi sono i nostri ragazzi. Sono attori professionisti, punto e basta. Ogni progetto è modulato, scritto e prodotto nel rispetto della loro unicità e dei loro tempi. Lavoriamo insieme a loro, siamo un gruppo e ci dividiamo i compiti. Dove non arrivano loro arriviamo noi, quelli che il mondo spesso chiama “normali”.

Ma alla Poti Pictures non ci sono le persone normali e le persone speciali. C’è un gruppo unito di persone, c’è un solo Noi con un unico grande sogno condiviso: fare cinema

.

 

So che tra i vostri attori ci sono due star internazionali Paolo e Tiziano, ci parli di loro? Tiziano Barbini e Paolo Cristini sono i nostri attori storici. Due grandi professionisti. Insieme giriamo il mondo in festival internazionali e università dove andiamo a presentare film, incontrare il pubblico e raccontare il nostro metodo di lavoro. Sono loro gli ambasciatori migliori della Poti Pictures. Ci tengo a dire che sono assunti regolarmente. Questo significa che nella loro busta paga c’è scritto “attore”. Nella loro carta d’identità c’è scritto “attore” e non pensionato, come nei documenti di tante persone disabili. In questa parola c’è un mondo di gioia, soddisfazione, impegno e lavoro.

Qual è l’ingrediente segreto del vostro modo di fare cinema?

L’autoironia è la benzina che fa girare il nostro motore. Si ride un sacco, soprattutto di noi stessi. Prendendoci in giro abbattiamo le barriere, soprattutto quelle negli occhi di chi ci guarda

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Questo non vuol dire mascherare la disabilità, né tantomeno ridicolizzarla o al contrario puntare tutto su questa. È ridere insieme e avvicinare le persone. Soprattutto chi ha paura della diversità. Chi non la conosce o, peggio ancora, chi pensa di conoscerla mettendogli addosso delle etichette sbagliate e tossiche.

Qual è la difficoltà più grande che incontrate nel vostro lavoro?
Il pietismo. In Toscana spesso davanti a una ragazza o a un ragazzo disabile si sente dire “oh parino”, poveretto, con fughe di sguardi e commenti sottovoce. Ecco: nella Poti Picture non esistono “parini”, ma solo attori e amici. Non c’è niente di più importante che scardinare questa valanga di pregiudizi. Soprattutto quelli buonisti. Le nostre produzioni sono importanti e sulle spalle dei nostri ragazzi ci sono progetti giganti. Loro lo sanno e si impegnano sempre di più, divertendosi. Perché ogni film è il loro film. Questo è uno stimolo concreto verso l’indipendenza e la responsabilizzazione.

Cos’è il successo per la Poti Pictures?
Il successo è riuscire a raccontare le nostre storie al meglio delle potenzialità di tutti. Essere credibili agli occhi di chi ci guarda in quanto professionisti. Ribaltare il punto di vista sulla disabilità: da persone con problemi a persone con potenzialità. Perché noi ci vediamo così e ci piace raccontarci così.

Cos’è per voi l’inclusione?
Inclusione è quando i limiti si accolgono e non ci si entra in conflitto. L’arte e il cinema sono per natura le dimensioni più inclusive perché sono fatte di emozioni, che sono per noi come l’acqua per i pesci. Ci viviamo immersi anche quando non ce ne rendiamo conto. Ci stiamo dentro, tutti diversi e volendo tutti insieme.

Il messaggio che volete lanciare al mondo:
Tutti hanno una bellezza unica e hanno diritto e dignità di far parte del mondo del cinema. Il luogo più forte al mondo dove poter moltiplicare la bellezza. A te spettatore, a te produttore o regista: quando faccio un film ti dico giudicami per le emozioni che so trasmetterti, non per il numero dei miei cromosomi. Non voglio la tua compassione, voglio l’effetto wow.

Il vostro grande sogno? “Hollywood”.

Davvero? “Certo, come tutti quelli che fanno cinema”.

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