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Tiberio Guarente, il mare oltre il pallone. L’ex Siviglia e la seconda vita a Capraia

L’amore per il calcio. Poi un infortunio ferma il gioco ma l’ex centrocampista riparte, da lottatore. Un locale, la pesca, la politica: “Capraia? Vorrei vederla crescere senza perdere la sua natura di isola lontana, perché questo è il suo fascino”

Tiberio Guarente

C’è un tipo in canottiera gialla con gli occhiali da sole e un sacco di  tatuaggi che sfreccia su un monopattino elettrico sull’asfalto bollente del porto dell’isola di Capraia. Inevitabilmente abbronzato, il ragazzo tiene in faccia un sorrisone grande così. Lui non è uno qualunque, anche se ha scelto di esserlo tornando nella terra dove la sua famiglia ha scelto di vivere.

Tiberio Guarente ti stringe la mano con forza. “Qui sono felice” dice, difficile dubitare delle sue parole. Capraia è un paradiso lontano dal mondo. Se la ami la vivi. Lui la ama, quindi…

“Quando ho smesso di giocare a calcio ho deciso di vivere qui, dove avevo le mie radici. Io, la mia compagna e mio figlio stiamo bene. Qui ho tutto quello che amo. Tanti amici, un sacco parenti e poi il mare, una parte fondamentale della mia vita”.

Guarente è stato un vero talento del pallone. Purtroppo ha dovuto fare i conti con ciò che può far parte del gioco: gli infortuni. L’Atalanta, il salto nel Siviglia, poi un ritorno in Italia per via di un ginocchio che gli faceva dannare l’anima. Le giovanili azzurre e quel passaggio nella Liga di alto livello lasciavano immaginare chissà cosa.

 Prandelli mi aveva anche convocato in nazionale. Poi l’infortunio e la strada si è fatta in salita

Lui si fa serio: “Già. Prandelli mi aveva anche convocato nella nazionale maggiore. Poi l’infortunio e la strada si è fatta in salita. Ci sono stati momenti davvero duri. Ma me ne sono fatto una ragione, perché comunque sono stato fortunato a giocare con grandi campioni e a vivere un periodo da ragazzo privilegiato”.

Qui a Capraia l’ex centrocampista si è costruito una vita piena di cose. Un locale, la politica, la pesca.

“Beh, il mio locale si chiama il Ritrovino, in onore di un posto molto carino che frequentavo spesso a Empoli. Mi piace lavorare a contatto con la gente. Certo, qui la vita arriva d’estate, ma io per il resto non mi annoio”.

Perché le passioni sono passioni.

Da quando ero bambino io amavo giocare a pallone e andare a pesca. A calcio ho vissuto da professionista, quindi va bene così. Qui ogni giorno vado in mare a pescare. Ho una barca insieme a mio cugino e ci divertiamo come dei matti. Qui il mare è tutto. E per me è tantissimo”.

E la politica? Sì, insomma, c’è anche quella nel dna di Tiberio Guarente, visto che il padre Gaetano è stato sindaco di Capraia. Lui ci ride su.

Capraia vorrei vederla crescere senza perdere la sua natura di isola, perché questo è il suo fascino

“Sì, sicuramente l’esperienza di mio padre mi ha portato a candidarmi al consiglio comunale. Fare politica per me significa fare qualcosa per la realtà in cui vivo, per quest’isola che amo con tutto me stesso. Mi piace immaginare Capraia più viva, con più strutture ricettive. Ma sia chiaro: vorrei vederla crescere senza perdere la sua natura di isola lontano da tutto, perché questo è il suo fascino. Però è giusto immaginare qualcosa di più per chi viene a viverla e vuole conoscerla. E’ necessario trovare l’equilibrio giusto. Io cerco di darmi da fare, così come fanno tutti i centoventi abitanti dell’isola”.

Beh, sapersi reinventare non è da tutti. E, anche quando tutto sembra giocarti contro, saper trovare la luce per ricominciare.

“Nella vita ho dovuto fare delle scelte, anche difficili, come rinunciare alla Liga e a quel salto che sembrava davvero qualcosa di incredibile”. Guarente andò al Siviglia firmando un contratto che prevedeva una clausola rescissoria fissata a trenta milioni di euro. Roba da star.

“Ho giocato con Rakitic. E in carriera con tanti altri grandi giocatori. Il calcio è un mondo che può spedirti in una realtà parallela. Ma se tieni i piedi per terra accetti anche i momenti più duri. E capisci anche quando è il caso di dire basta”.

Già. Empoli, un altro infortunio, e l’addio al pallone. “Il mio procuratore era contrario ma io decisi di rinunciare ai soldi dell’ingaggio. Lo pretesi, perché era la mia vita. Dissi basta e uscì di scena con la coscienza a posto”.

Anche perché c’era questa isola incantata ad aspettarlo.

“Sì. Posso dirmi sfortunato? Ma dai. Guardati intorno. Guardami in faccia. Io qui sono felice”.

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