Storie /l'intervista

Viareggio Cup, una questione d’identità. Al calcio dei ricchi rispondono i volontari

A tre anni di distanza dall’ultima finale, il 16 marzo torna la Coppa Carnevale. “Il calcio giocato dai giovani è quello più bello”. Tra memorie e aneddoti, parla il presidente del Cgc Viareggio Alessandro Palagi, che ricorda quella volta in cui fece giocare squadre di Israele, Palestina e Stati Uniti

In un calcio che pare trasformarsi sempre di più in uno spettacolo televisivo e in cui le distanze sembrano dilatarsi – quelle tra i giocatori e i tifosi, ad esempio, ma anche tra le categorie minori e la massima serie – sorprende e quasi commuove incontrare esperienze come quella del Centro giovani calciatori (Cgc) di Viareggio. Ci sono motivi di straorinaria magia che giustificano e legittimano queste nostre considerazioni. Alcune sono evidenti agli occhi di chiunque, anche se non tutti ne sono a conoscenza. Di cosa stiamo parlando? È presto detto.

Prima di tutto del fatto che il Cgc – che dal 1949 organizza la Coppa Carnevale (o Viareggio Cup, che dir si voglia) – è composto solo ed esclusivamente da volontari. Nessun ruolo è retribuito e in caso di bisogno, come durante la pandemia, c’è chi è stato disposto a firmare fideiussioni affinché l’organizzazione andasse avanti. Insomma, nel calcio in cui vincono i più ricchi, qua la moneta che conta è quella dei principi e dei valori. Poi c’è il fatto che questo torneo giovanile è il più longevo di tutti, che da qua sono passati grandi campioni (Totti, Del Piero, Lukaku, Insigne), che ha respinto gli assalti di chi voleva farne un “brand” e che ha saputo rinnovarsi (dopo l’apertura al calcio femminile ora si guarda addirittura all’e-sports) pur senza perdere mai la propria identità.

Torneo di Viareggio, Lorenzo Insigne nel 2010 – © Centro giovani calciatori (Cgc)

Per la prima volta, nel corso della sua lunga storia, il torneo è stato sospeso per due edizioni a causa del covid. Due edizioni significano tre anni. L’ultima gara giocata? La finale tra Bologna e Genoa del 27 marzo 2019. Ebbene, tra pochi giorni si tornerà in campo per dare il via alla 72esima edizione (già definita quella del “ritorno”) della Viareggio Cup: il torneo maschile si svolgerà dal 16 al 30 marzo, quello femminile dal 17 al 25. Di questo (e molto altro) abbiamo parlato con Alessandro Palagi, che da vent’anni è presidente del Centro giovani calciatori di Viareggio. E pensare che tutto ha avuto inizio con un torneo tra bar viareggini…

Alessandro Palagi e Giorgio del Ghingaro alla presentazione della 72esima edizione della Viareggio Cup

Palagi, questa è stata definita l’edizione del “ritorno”. Cosa significa?

“Be’, dopo essere stati fermi per due anni si tratta davvero di un ritorno. Anzi, al nostro interno paragoniamo questo torneo all’edizione numero uno”.

È stata dura?

“Sì, anche psicologicamente. Organizziamo questo torneo internazionale da più di settant’anni togliendo tempo alle nostre famiglie e agli affetti. Ci abbiamo sempre messo passione e impegno. Poi all’improvviso anche noi abbiamo dovuto fare i conti con questa drammatica situazione”.

Cosa si augura?

“Il ritorno alla normalità. Per le nostre vite, per lo sport in generale e per il calcio in particolare”.

La difficoltà più grande?

“Attraversare la pandemia spinti dalla forza e dal coraggio di riprovarci. Finalmente ci siamo. Ci dispiace per quelle squadre che avrebbe voluto partecipare ma che, proprio a causa dei vari rinvii a causa del covid, hanno partite di campionato da recuperare e quindi alla fine non si sono iscritte”.

Per un giovane calciatore il torneo di Viareggio è solo una vetrina o qualcosa di più?

“È un sogno. Giocarlo è l’obiettivo di ognuno di loro. Sappiamo tutti che da qua sono passati grandi campioni. Però mi piace ricorda anche quelli che hanno partecipato e che a Viareggio hanno lasciato il cuore anche se non sono diventati dei professionisti. Spesso negli uffici delle società sportive incontri alcuni di loro. Mi riconoscono, si emozionano, amano condividere i loro ricordi. Per loro sono preziosi, ed è giusto che sia così”.

L’obiettivo di quest’anno?

“Prima di tutto desideriamo infondere coraggio, lo stesso che noi abbiamo ereditato dai nostri soci fondatori”.

E poi?

“Poi ci diamo da fare per proporre un calcio bello, pulito, giovane. Del resto il calcio giocato dai giovani è davvero quello più bello. La storia del torneo, che è conosciuto in tutto il mondo, ricomincia oggi”.

Possiamo considerare la Coppa Carnevale come il torneo dei tornei?

“A parlare è la storia. Lo spirito dei viareggini, unita alla forza dei nostri soci fondatori, ha fatto nascere questo torneo nel dopoguerra. Desideravano far qualcosa d’importante per la società e per lo sport. Tutto è iniziato come un torneo tra le squadre dei bar”.

Bologna, l’ultima squadra ad aver vinto la Viareggio Cup nel 2019

Cosa rende il torneo di Viareggio così speciale?

“La longevità, che poi è frutto dell’organizzazione. Nel tempo si sono sciolti i partiti storici, si sono susseguite le Repubbliche, ma il torneo di Viareggio è sempre qua. Siamo nati prima del Festival di Sanremo, prima della Coppa dei Campioni, prima della Coppa Libertadores“.

Questa popolarità crea anche invidie?

“In alcuni settore del calcio, sì. Ma dobbiamo essere fieri di quello che noi volontari abbiamo fatto negli anni. Il torneo va preso per quello che è, cioè un patrimonio per il calcio giovanile. E per Viareggio, ovviamente”.

Voi siete tutti volontari?

“Sì, tutti. Addirittura firmiamo fideiussioni personali per mandare avanti l’associazione nei momenti più difficili. Come durante la pandemia, ad esempio”.

Lei è presidente da 20 anni, ma la sua storia al Cgc inizia assai prima.

“Molto prima. Sono stato consigliere, amministratore, vicepresidente…”.

Quindi da quando?

“Sono socio del Centro giovani calciatori da più di 52 anni. Però ho un rammarico”.

Quale?

“Vorrei coinvolgere più giovani anche nell’associazione. Il nostro dovere è lasciare un futuro al torneo“.

Con un brand così forte esiste questo problema?

“Il torneo è conosciuto in tutto il mondo e fa gola a molti, ma vorrei che rimanesse una proprietà della città di Viareggio”.

Avete ricevuto proposte?

“Ci hanno cercato in molti. Ma questo è stato, è e resterà un patrimonio della città”.

Eppure, nonostante questo, lo stadio dei Pini è inagibile?

“Eh sì, da questo punto di vista Viareggio è nuda. Tra l’altro lo stadio è intitolato a Torquato Bresciani, presidente e fondatori del Cgc. Purtroppo questo c’indebolisce un po’. Il carnevale, il mare, il Festival Pucciniano… Tutto contribuisce a portare il nome di Viareggio nel mondo. Ma se la città è conosciuta ovunque è anche per merito del torneo”.

I suoi ricordi più indelebili?

L’anno in cui abbiamo fatto partecipare al torneo di Viareggio tre squadre: Israele, Palestina e Stati Uniti. Per questa cosa mi chiamarono da mezza Europa…”.

E poi?

“E poi c’è la Cina. La prima volta che superò la Grande Muraglia l’ha fatto partecipando al torneo di Viareggio con la squadra del Beijing Youth. A quei tempi ricordo anche che al carnevale fecero un carro con Mao e Nikon che giocavano a ping pong. Anche questa è Viareggio”.

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