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L’archivio dell’antica città turca di Doliche torna alla luce: la scoperta degli archeologi dell’Università di Pisa

L’identificazione grazie alle duemila impronte di sigillo in terracotta ritrovate. La missione è inziata la scorsa estate

Giove Dolicheno stringe la mano ad imperatore romano 2. Tyche seduta

Dagli scavi dell’antica città di Doliche, situata nel sud-est della Turchia, emergono i resti di un edificio e grazie alle circa 2mila impronte di sigillo in terracotta ritrovate dagli archeologi è stato possibile identificare come l’antico archivio cittadino, il luogo in cui venivano conservati i documenti in papiro e pergamena. È l’importante scoperta della missione archeologica che l’Università di Pisa iniziata la scorsa estate in collaborazione con l’Università di Münster.

sezione di scavo Doliche

Doliche è la città nota nell’antichità come uno dei centri urbani più importanti dell’antica Siria del Nord. Fondata sotto i successori di Alessandro Magno (i Seleucidi), era stata chiamata come molte altre fondazioni di quella zona col nome della città greca da cui i coloni provenivano: Doliche in Tessaglia, vicino al Monte Olimpo.

“Il sito dell’antica Doliche è stato oggetto di indagini tedesche già dagli anni ’70 del secolo scorso – spiega Margherita Facella, professoressa di Storia greca nell’Ateneo di Pisa e direttrice della missione pisana – Dal 2015 un team internazionale sotto la guida del professor Engelbert Winter ha condotto prospezioni e scavi, portando alla luce i resti di alcuni edifici pubblici, tra cui delle terme romane. Accanto a queste terme, erano stati identificate le tracce di un’altra costruzione, ora parzialmente scavata dai nostri archeologi”.

Le duemila impronte di argilla decorate

Si tratta di un archivio cittadino,  continua Facella, “come rivelano le numerose impronte di sigillo in terracotta qui trovate: più di 2mila (cosiddette bullae) sono state recuperate nell’area e sottoposte, laddove possibile, a pulizia e restauro. Le impronte di sigillo indicano chiaramente che qui venivano conservati documenti scritti su papiro e pergamena, andati poi distrutti a causa di un incendio”.

Gli antichi documenti venivano sigillati con cordicelle attorno alle quali erano posti grumi di argilla di piccole dimensioni (0,5-2 cm), spesso frammentate e difficili da riconoscere a occhio nudo. Su questa argilla venivano impressi anelli, decorati o iscritti, così da poter sigillare i documenti e impedirne l’apertura. Solo nel caso in cui un archivio sia stato distrutto da un grave incendio, le impronte dei sigilli si possono conservare, in quanto cotte e dunque indurite, mentre i documenti periscono nel fuoco.

“Le poleis dell’Oriente ellenistico e romano dovevano certamente possedere archivi per la conservazione di documenti di carattere amministrativo e legale – aggiunge la professoressa Facella – La loro sopravvivenza, tuttavia, è un evento assai raro, possibile solo in caso di incendio e successivo abbandono dell’edificio. Infatti, se da una parte il fuoco causa la distruzione dei documenti, dall’altra consente la cottura dell’argilla cruda su cui i sigilli sono impressi, garantendone così la sopravvivenza. Nel 253 d.C., il re persiano Shapur I distrusse numerose città nella provincia romana della Siria, inclusa Doliche, come conseguenza di una sanguinosa guerra tra l’Impero Romano e quello dei Sasanidi”.

Le impronte dei sigilli privati presentano una vasta gamma di immagini e simboli, figure mitiche e ritratti privati.

veduta aerea dell’ archivio-parte scavata
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