Enogastronomia/

Sotto la cenere: i piatti toscani che stavamo dimenticando (e che tornano in tavola)

Dal cibrèo all’acquacotta maremmana, dal collo di pollo ripieno con la salsa verde fiorentina fino alla schiaccia briaca dell’Elba

Il collo di pollo ripieno con salsa verde – pagina FB Casa Porciatti

Sono tornati in tavola dopo un periodo di oblio. Confinati nel dimenticatoio per troppi anni, spesso riproposti in una versione gourmet, talvolta stellata. Sono i piatti della tradizione toscana che rimandano alla cucina contadina di una volta. Oggi stanno tornando di moda: riemergono dalle nebbie del passato, spesso dalle pagine dell’Artusi e vengono riscoperti in tavola.

Un ritorno per rendere felice chi crede nella cucina toscana nella sua versione più autentica e identitaria. Hanno nomi un po’ vintage ma sapori che non sono stati scalfiti dal tempo. Spesso, quasi a sorpresa, si scopre che sono perfettamente in linea con le ultime tendenze di una sana ed equilibrata alimentazione. Di sicuro sposano la filosofia del riuso e del recupero che in tempi di sostenibilità alimentare equivale a un tesoro.

Il cibrèo

Se il cibrèo è tornato in auge, ormai da vent’anni abbondanti, lo si deve allo chef Fabio Picchi. Al piatto simbolo della cucina toscana ha dato il suo nome del suo ristorante in Sant’Ambrogio. A seguire sono arrivati il Caffè e perfino la versione tosco-orientale, il Cibreino.

La ricetta ha origini rinascimentali. È un piatto di recupero, a base di creste di pollo, bargigli, testicoli di pollo, zampe di gallina. Si dice che fosse uno dei piatti preferiti di Caterina de’ Medici. Pellegrino Artusi nel libro cult “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” lo definisce “un intingolo semplice, ma delicato e gentile, opportuno alle signore di stomaco svogliato e ai convalescenti”. Ai giorni nostri è stato riscoperto da molti ristoranti, tradizionali e pure gourmet, a dimostrazione che un buon piatto non ha età.

Il collo ripieno

Il collo di pollo ripieno con salsa verde è un’altra bella riscoperta che a Firenze si deve in primis a Fabio Picchi. Un piatto della memoria, solo all’apparenza povero. Il collo viene riempito con una farcitura a base di macinato di manzo e di maiale, fegatino, fagioli, aglio tritato, uovo, pane raffermo bagnato e strizzato, parmigiano, noce moscata, sale e pepe, viene servito nella versione più scenografica con cresta e bargigli. Molti lo accompagnano con la maionese o con olio a crudo e sottaceti ma in Toscana è tradizione la salsa verde.

L’acquacotta maremmana

L’acquacotta maremmana nasce come zuppa povera, preparata con guanciale bollito, cipolle affettate, patate e talvolta un po’ di baccalà. Veniva cotta in un paiolo di ferro. Era il piatto di pastori, spaccalegna e carbonai. Era un piatto nato per essere condiviso al termine di una lunga e dura giornata di lavoro.

Negli anni l’acquacotta maremmana si è sempre più trasformata in una zuppa stagionale di verdure, con aggiunta di fette di pane abbrustolito, uova e pecorino. Celebre la versione stellata della chef Valeria Piccini del ristorante Da Caino a Montemerano (due Stelle Michelin).

La schiaccia briaca

La schiaccia briaca evoca tempi lontani quando le coste dell’Elba erano sotto l’assalto dei pirati. All’inizio era un dolce a base di frutta secca e senz’alcool. Solo nell’Ottocento vennero aggiunti alla ricetta il vino aleatico e l’alchermes. La ricetta, tramandata oralmente per secoli, è stata riproposta da alcuni anni da Gabriele Messina, proprietario del marchio ElbaMagna. Da segnalare che la versione di Capoliveri della schiaccia briaca usa il moscato al posto dell’aleatico.

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